Il voto
Elezioni Gran Bretagna, il regalo di Corbyn a Boris Johnson
Questa volta “Big Ben ha detto Stop”. Stop ai ritardi, alle titubanze e alle crisi di nervi sulla Brexit. Scegliendo Boris Johnson il Regno Unito ha chiesto di uscire dall’Europa e di farlo in fretta. Ancora una volta la dimostrazione che a quelle latitudini la volontà dei cittadini – quella che fu espressa con il referendum del 2016 – va presa sul serio. Così, il partito Tory ha ricevuto quasi 14 milioni di voti (pari al 43,6%), conquistando 364 seggi nel nuovo parlamento. A guardar bene, l’insieme degli oppositori ha ottenuto più voti se si sommano quelli del Labour (10 milioni di voti, pari al 32,2%), del National Scottish Party (più di un milione di voti, pari al 3,9%) e dei LibDem (più di 3 milioni e mezzo di voti, pari all’11,5%). Ma la somma finale non è soltanto causa degli effetti “disproporzionali” del sistema maggioritario britannico. Questi voti non sono assimilabili, in realtà, sia per le profonde differenze programmatiche (il manifesto veterosocialista di Corbyn non poteva essere adottato dai liberaldemocratici di JoSwinson) che per la posizione sulla Brexit (il Labour era profondamente diviso al suo interno). Il risultato è che ha vinto la proposta più facile e chiara, quella di BoJo: “Get Brexit Done”.
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Parleremo adesso di populismo conservatore, di neoprotezionismo e di maggiore interventismo in economia. Tutto vero, ma bisogna ricordare che il Regno Unito non ha mai stravisto per l’Unione Europea e ha vissuto l’appartenenza alla comunità continentale soprattutto come una opportunità sul piano del libero scambio commerciale. Viceversa, l’idea di una burocrazia sovranazionale che mette il naso negli affari interni non è mai andata a genio agli inglesi. Non va sottovalutato, insomma, il senso – profondamente culturale e identitario – dell’indipendenza di un’isola con tradizione (e ambizione) imperiale, al di là degli sconvolgimenti recenti provocati dalle trasformazioni economiche e sociali della globalizzazione.
Che cosa succede adesso? La cancelliera tedesca, Angela Merkel, dice che “i negoziati futuri saranno difficili”, ma l’ambizione è di “avere una partnership eccellente”. Le fa eco la presidente della Commissione europea Ursula von derLeyen: “Questa non è la fine di qualcosa, ma è l’inizio di eccellenti relazioni tra buoni vicini”. Parole piene di buon senso, ma il processo di uscita non sarà affatto facile. Senza dimenticare i problemi che deriveranno alla Ue sul piano militare e commerciale.
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Bisogna ricordare poi che, nonostante la vittoria schiacciante, si apre per Boris Johnson un minaccioso fronte interno. Il fallimento del Dup nell’Irlanda del Nord nelle elezioni generali e la vittoria dello Snp in Scozia hanno messo in dubbio il futuro del Regno Unito. È scontato che gli scozzesi chiederanno un referendum bis per ottenere la secessione e riunirsi all’Unione Europea. Forte del suo successo locale, Nicola Sturgeon, leader degli indipendentisti dell’Snp, primo partito scozzese, spiega: “La Brexit ha trionfato in Inghilterra, ma la Scozia ha detto di nuovo no a Boris Johnson e alla Brexit. La Scozia desidera un futuro diverso da quello scelto dal resto del Regno Unito”.
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