La logica funzionale
Come funziona la Macroregione, l’esempio europeo che l’Italia e il Sud devono seguire
Tutto è iniziato per dare una risposta a uno dei più grandi fiumi europei. Il Danubio era vittima di un progressivo degrado ambientale, che nessuno degli Stati rivieraschi era in grado, da solo, di risolvere. La grave situazione, richiedeva una risposta collettiva: se due vicini hanno un problema, è più facile affrontarlo insieme. Un principio semplice. Nasce quindi l’esigenza di immaginare un nuovo strumento per condividere percorsi di sviluppo coordinati. L’Unione europea per la prima volta realizzò una cooperazione rafforzata, a livello statale e regionale: la “strategia macro-regionale”. La ‘Danubiana’ viene adottata nel 2009, coinvolge circa 100 milioni di cittadini europei, distribuiti tra Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia e Svezia, aperta alla cooperazione con i paesi limitrofi.
I tre obiettivi principali sono, la salvaguardia del mare, i collegamenti nella macroregione e l’aumento della prosperità attraverso collegamenti di migliore qualità e più intelligenti nei settori della mobilità, del commercio e dell’energia; misure ambientali e gestione dei rischi e cooperazione in materia di sicurezza. Insieme a queste priorità tematiche si mettono a sistema tutte le linee di finanziamento, a partire da quelle di origine comunitaria. La Macroregione come modello per attuare la coesione territoriale, l’integrazione delle politiche e il coordinamento attraverso una governance condivisa. Per i geografi, da decenni, ‘regione’ e ‘macroregione’ non sono certo termini nuovi. Sono territori intesi quale area funzionale di riferimento per adattare politiche di gestione o sviluppo, la macroregione non ha confini predefiniti ma a geometria variabile. Il limite è la funzione, non i perimetri amministrativi. A Bruxelles, a partire dal 2009, si sono costruite, nell’ambito della cooperazione territoriale, quattro macro-aree: la Baltica, la Danubiana, la Adriatico Ionica e la Alpina, alle quali, molto probabilmente, si aggiungerà a breve quella Mediterranea. Quattro macroregioni che coinvolgono ad oggi circa 50 paesi e almeno 100 regioni. Tre, di queste quattro, coinvolgono il nostro Paese con il sistema regionale e degli enti locali.
Questa logica “funzionale”, voluta dalla UE, sarebbe opportuno trasfonderla anche nel processo di riforma dell’attuale assetto delle Autonomie messo in campo dal Governo con l’applicazione del 116 terzo comma della costituzione. L’Europa sta viaggiando verso la definizione di aree più ampie, nelle quali i confini ed i margini sono definiti sulla base di funzioni da governare. È in questo contesto europeo e con questo stesso approccio che dobbiamo pensare a un processo di neo regionalizzazione, che fornisca all’Italia un assetto maggiormente efficiente e competitivo, in grado di realizzare economie di scala e di ottimizzare la spesa pubblica e valorizzare quella privata. Abbandonata, ad oggi, ogni ipotesi di riforma del Titolo V, almeno con questo Parlamento, quello che invece è possibile realizzare da subito è l’applicazione a regime dell’articolo 117, ottavo comma della Costituzione, che recita: “La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni”.
Un’unica ‘istituzione’ riconoscibile per la funzione, capace di eseguire interventi specifici su macroaree. La Macroregione è già in Costituzione, quindi, anche in Italia. Uno dei primi esempi embrionali ha coinvolto il Sud, con la creazione della Zes unica. Se da una parte questo comporta una perdita di sovranità, in particolari delle Regioni, è pur vero che non solo “Chi ha i mezzi decide i fini”, ma si potranno scongiurare le bad practice dei fondi comunitari, la cui governance, specie al Sud, è spesso stata infruttuosa. Sarà quindi necessario avviare un progetto politico che veda l’avvio di intese tra tutte le Regioni – quelle del Mezzogiorno sono le più interessate – finalizzate all’esercizio unitario delle funzioni di macro-area, anche attraverso l’istituzione di organi comuni come prevede l’ottavo comma. Tale dispositivo previsto dalla Carta Costituzionale avrebbe effetti rivoluzionari e consentirebbe di invertire la rotta a Costituzione vigente.
La sua applicazione consentirebbe ad esempio un governo comune del ciclo integrato delle acque, della portualità e della logistica, del trasporto pubblico locale, del ciclo dei rifiuti e delle reti sanitarie, prevedendone la gestione ad idonee agenzie da costituire ad hoc tra le diverse Regioni interessate. Favorirebbe inoltre l’implementazione di economie di scala e scelte razionali e coerenti in tutti i settori di competenza dell’ente, dalla programmazione economica territoriale, alla sanità, alla gestione di fondi aggiuntivi, alla pianificazione delle strutture logistiche in coerenza con iniziative di accorpamento e razionalizzazione già perseguite dal governo nazionale. Un sistema delle Autonomie più forte, in coerenza con il processo delle Macroregioni Europee. Questa è la sfida più difficile da affrontare e superare, soprattutto a Sud, dove maggiore è il peso dei localismi e dei particolarismi, ma più rilevanti potranno essere vantaggi.
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