Omicidi, orgasmi, esecuzioni capitali, discriminazioni contro i ghetti, rituali collettivi e individuali, esperimenti di svuotamento della memoria, dimorano nelle pagine del napoletano Alfredo Zucchi, nel suo ultimo libro La memoria dell’uguale (Alessandro Polidoro Editore – pp. 126, euro 14 -, editore napoletano impegnato in esperimenti coraggiosi, come questa pubblicazione dimostra). Pagine dense di un’esattezza chirurgica del linguaggio tanto più affilata, spietata e straniante quanto più incerte sono le vicende umane che vengono raccontate. Non incertezza dovuta a una visione moralmente relativizzata della realtà, e neppure un’incertezza che derivi dalla costrizione abusata a fare da eco alle fragilità psicologiche di personaggi e storie. Incertezza in senso quantistico, piuttosto: cioè strutturale capovolgimento del principio di causalità.

Attraverso il ricorso a talune leggi della fisica moderna a volte più esplicito, molto più spesso sapientemente innestato nell’andamento stesso del singolo racconto, Zucchi rimette al centro del discorso letterario il caso con le sue necessità secondo una prospettiva terrificante eppure dotata più della levità di Menandro che della lacerazione di Euripide.

Alcune frasi espongono il motivo fondamentale dell’opera: «Il caso è la dimora, dovunque essa sia; è la voce, qualunque cosa essa dica» (dal racconto che apre la raccolta, Il dono). In rapporto a un libro le cui pagine aumentano nel corso della lettura, il bambino che lo legge «tentò di calcolare, intuitivamente, il tempo che avrebbe impiegato a finirlo, considerando il tasso medio di crescita del libro e il suo ritmo di lettura: finì in un paradosso». Ancora, il protagonista del racconto dal titolo a sua volta esplicitamente quantistico (Sul bordo di un evento) ci spiega di non chiedersi se sia caduto trappola di un inganno premeditato: infatti «io non moralizzo mai la natura». Nell’indeterminazione quantistica che rende pulsanti questi racconti come eventi dal costante dinamismo non ci sorprendiamo a condividere il pensiero di uno dei personaggi: «(…) la morte è una figura grossolana e inelegante».

La fissità abdica sistematicamente al mutamento: questo vale per tutta la nostra vita se la poniamo sotto la lente d’osservazione delle neuroscienze. Questo vale per la memoria. Soprattutto, per la memoria dell’uguale. M., nel racconto che dà il titolo alla raccolta, dopo un sogno gode di quest’illuminazione: «Se fisso un punto A su una circonferenza e comincio a percorrerla, ogni volta che torno allo stesso punto accade qualcosa di nuovo. È il pathos, la memoria del ritorno a generare differenza».

Il rigore della parola e il fascino esercitato sull’autore dal rito non possono non condurci a rilevare la contiguità di questi racconti e delle loro dinamiche fattuali al mondo del diritto e della giustizia, delle leggi e dei processi. Il libro ne è pieno, quasi un’ossessione ordinamentale insegue l’ordito di certe storie e forse persino l’impianto delle scelte stilistiche di fondo non ci sorprende: esiste forse settore delle conoscenze e attività umane in cui il caso prenda dimora con maggiore efficienza che negli ingranaggi della Legge? Basta citare Kafka, Dürennmatt, Sciascia. A questi, da oggi, aggiungiamo Zucchi coi suoi ghetti, con le sue compensationes lucri cum damno. Con la forma quantistica dei suoi racconti che procedono come funzioni d’onda.