Entrerà in vigore dall’1 gennaio la sugar tax sulle bibite zuccherate. Fu introdotta dal governo Conte nel 2019 nella convinzione grillina di moralizzare attraverso una tassa etica i consumi degli italiani, andando a colpire prodotti che contribuiscono solo all’1% delle calorie assimilate. “Si cambino alcune abitudini di vita e i produttori siano orientati a non produrre bevande soverchiamente zuccherate”, disse il premier Conte in conferenza stampa con Gualtieri. Un’imposta su bevande analcoliche zuccherate pari a 10 euro per ogni ettolitro. Ma Italia Viva si mise contro: “Le tasse contro la plastica e lo zucchero funzionano mediaticamente per i populisti – disse Matteo Renzi – Ma sono un autogol per le aziende del settore. Se vuoi cambiare stili di vita, investi sull’educazione. Ma aumentare le tasse serve a far cassa. E fa licenziare 5.000 persone. Ecco perché Italia Viva combatte contro l’aumento di queste tasse”. Ovviamente l’allora segretario del Pd Zingaretti si schierò con Conte: “Italia Viva ai lavoratori italiani preferisce le multinazionali delle bibite gassate, come la Coca Cola”.

In effetti la tassa colpiva le bevande, e non ad esempio le merendine, nella convinzione che le prime siano solo prodotte da multinazionali all’estero. Sfuggì il dettaglio che le multinazionali straniere che producono in Italia fanno made in Italy! E infatti la Coca Cola, che in Italia ha fabbriche importanti, minacciò la chiusura dello stabilimento di Catania col licenziamento di mille lavoratori. “È da miserabili, oltre che falso, contrapporre i lavoratori ai presunti interessi delle multinazionali – rispose l’allora ministro dell’agricoltura Teresa Bellanova – La sugar tax colpisce lavoratori, imprese agricole e mondo della trasformazione. Ad esempio verrebbero colpite le arance italiane per le aranciate, verrebbe messa in ginocchio la produzione di chinotto. Per questo Italia Viva ne ha sempre proposto la cancellazione”. Quella battaglia fu vinta, e il governo Conte rimandò l’introduzione della tassa. Come fecero anche Draghi, e il governo Meloni nella manovra 2022. Con la promessa di Salvini di cancellarla del tutto. Promessa non mantenuta. E ora, se non interviene immediatamente una ulteriore modifica, entrerà in vigore da gennaio 2024.

Un disastro, come denuncia Assobibe: nel primo biennio di applicazione le vendite di bevande analcoliche in Italia subirebbero un tracollo del 15,6%. Il gettito Iva calerebbe di 275 milioni di euro e 5mila posti di lavoro sarebbero a rischio. È quanto emerge dallo studio commissionato a Nomisma da Assobibe, l’associazione dei produttori di bevande analcoliche da sempre contrari all’introduzione della sugar tax nel nostro Paese. La ricerca evidenzia che, oltre al calo previsto del mercato, nel biennio 2024-2025 si stima anche una riduzione di 46 milioni di euro degli investimenti da parte delle imprese produttrici, e una contrazione degli acquisti di materie prime (alimentari e non) di 400 milioni di euro. La tassa si traduce in un aumento del 28% della pressione fiscale su un litro di bevanda analcolica, con un effetto recessivo del -11,6% nel 2023 rispetto al 2022 e del 17,1% rispetto ai livelli pre-pandemia. “In un Paese come l’Italia, dove i consumi di bevande analcoliche sono minimi, una tassa ad hoc non serve – sostiene il presidente di Assobibe, Giangiacomo Pierini – Senza contare che nei Paesi dove è in vigore da anni la sugar tax non ha prodotto benefici tangibili per la salute pubblica, con un taglio medio di sole 3 calorie quotidiane per individuo”. Da tempo il settore è impegnato nella riduzione del quantitativo di zuccheri contenuti nelle bevande: secondo i dati Assobibe, dal 2010 ad oggi lo zucchero contenuto nei soft drink è già diminuito di quasi il 40%.

Anche La Uila, categoria agricoltura della Uil, si è sempre opposta a queste tasse “a causa delle quali il nostro paese pagherebbe un prezzo altissimo in termini di minore occupazione e calo dei consumi, che non possiamo permetterci, a maggior ragione in questo momento storico in cui l’inflazione e la congiuntura economica stanno erodendo i salari e il potere d’acquisto delle famiglie”, dice il segretario generale Stefano Mantegazza. “Chiediamo quindi al Governo di intervenire in difesa del Made in Italy, non con un nuovo rinvio, ma con la cancellazione in via definitiva di queste imposte sbagliate”.

Una tassa, firmata dai progressisti, che invece è totalmente regressiva, essendo uguale per tutti e quindi più “pesante” per i più poveri. E così i ricchi bevendo champagne potranno continuare a farsi le case col superbonus pagato con la sugar tax dai poveri. Il governo Meloni deve cancellarla.