L’allora senatore del Pd Stefano Esposito venne intercettato “abusivamente” dai carabinieri di Torino. Lo ha stabilito ieri la Corte costituzionale che ha accolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, il giudice per le indagini preliminari e il giudice dell’udienza preliminare del medesimo Tribunale, in relazione all’attività di intercettazione che ne aveva visto il coinvolgimento nell’ambito dell’inchiesta “Bigliettopoli”, al momento finita su un binario morto, fra prescrizioni e questioni di competenza territoriale. Esposito, senatore dem dal 2013 al 2018, venne intercettato “indirettamente” per ben tre anni mentre parlava con l’imprenditore Giulio Muttoni, suo amico d’infanzia e patron della Set Up Live, una società attiva nel settore dei concerti. I carabinieri, coordinati dai pm Paolo Toso e Antonio Smeriglio prima, e Gianfranco Colace poi, avevano ipotizzato che Muttoni avesse legami con la ’ndrangheta al fine di aggiudicarsi gli appalti. Pur avendo capito quasi subito che Esposito fosse però un parlamentare, e quindi tutelato dalle guarentigie, gli inquirenti avevano continuato ad ascoltarlo “indirettamente” mentre parlava con Muttoni. Alla fine dell’inchiesta le conversazioni fra i due saranno circa 500 volte e 126 verranno utilizzate dalla Procura per chiedere ed ottenere dal gip Lucia Minutella il rinvio a giudizio di Esposito per turbativa d’asta, corruzione e traffico d’influenze.

Il caso era finito in Senato e Pietro Grasso, all’epoca presidente della giunta per immunità, lo aveva segnato formalmente al ministro della Giustizia e alla Procura generale della Cassazione per l’avvio dell’azione disciplinare, attualmente in essere, nei confronti dei predetti magistrati torinesi. Seconda la Consulta, redattore il giudice Stefano Petitti, “non spettava alle autorità giudiziarie che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare, senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato”. Il carattere mirato dell’attività di indagine deve essere ricavato dalla “decisiva circostanza” per cui, nei confronti del parlamentare, emergono “specifici indizi di reità che si traducono nella richiesta di approfondimenti investigativi”. In particolare, la Corte costituzionale ha precisato che indici quali l’abitualità dei rapporti tra il parlamentare e il terzo intercettato, il numero delle conversazioni e la loro prevedibilità, nonché la loro proiezione nel tempo, possono non essere da soli sufficienti a qualificare il parlamentare come bersaglio effettivo delle indagini. Ad assumere un peso determinante in tal senso è, piuttosto, l’effettivo e sostanziale coinvolgimento del parlamentare tra gli obiettivi delle indagini. La Corte, inoltre, ha ritenuto che tale effettivo e sostanziale coinvolgimento di Esposito emergesse chiaramente a partire dal 3 agosto 2015, data nella quale il contenuto delle conversazioni intercettate viene per la prima volta fatto oggetto per gli inquirenti di “spunti investigativi meritevoli di approfondimento”. All’avvenuto mutamento degli obiettivi dell’attività di indagine, convalidato anche da provvedimenti adottati a seguire e dalla successiva iscrizione del parlamentare nel registro degli indagati, si riconnette quindi l’illegittimità dell’acquisizione e dell’utilizzo delle intercettazioni successive al 3 agosto 2015 in quanto avvenute senza che sia mai stata richiesta, dall’autorità giudiziaria procedente, l’autorizzazione al Senato. Le intercettazioni disposte ed effettuate prima del 3 agosto 2015 sono invece da qualificarsi come “occasionali”, con la conseguenza che anche queste non potevano essere utilizzate nei confronti di Esposito senza l’autorizzazione da richiedersi ex post al Senato. Ma nulla di ciò venne mai fatto dai magistrati di Torino.

La Consulta, infine, ha accertato anche l’illegittimità dell’acquisizione dei messaggi WhatsApp, indirizzati a (o prevenienti da) Esposito allorquando egli ricopriva ancora il mandato parlamentare, estratti dalla copia forense delle comunicazioni contenute nel dispositivo di telefonia mobile di Muttoni: messaggi per i quali sarebbe stata necessaria, costituendo essi corrispondenza di un parlamentare, l’autorizzazione della Camera di appartenenza. A tal proposito la Corte si era già espressa nei confronti delle mail e chat di Matteo Renzi con Marco Carrai nell’ambito dell’inchiesta Open, dichiarando l’illegittimità del loro sequestro da parte dei pm fiorentini. Per effetto dell’accoglimento del conflitto di attribuzione proposto dal Senato, la Corte costituzionale ha quindi annullato la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura di Torino a luglio 2021, e il decreto che dispone il giudizio, adottato dal giudice dell’udienza preliminare a marzo del 2022. Su questa vicenda è intervenuto ieri Ernesto Carbone, consigliere laico del Csm in quota Italia viva. “Un parlamentare in carica è stato intercettato: non si può fare e lo si studia al primo anno di giurisprudenza. Quanto è costata questa inchiesta ai contribuenti? Farò di tutto perché il Csm se ne occupi’’, ha annunciato in una nota Carbone.