Annullato il rinvio a giudizio di Stefano Esposito. La Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, il Giudice per le indagini preliminari e il Giudice dell’udienza preliminare del medesimo Tribunale, in relazione all’attività di intercettazione che ha coinvolto, nell’ambito di plurime indagini, Stefano Esposito, Senatore nella XVII legislatura.

Cosa dice la sentenza sul caso di Stefano Esposito

Con la sentenza n. 227 del 2023, è stato dichiarato che non spettava alle autorità giudiziarie che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio Stefano Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare, senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica.

Secondo la sentenza, il carattere “mirato” dell’attività di indagine deve essere ricavato dalla «decisiva circostanza» per cui, nei confronti del parlamentare, emergono «specifici indizi di reità che si traducono nella richiesta di approfondimenti investigativi». In particolare, la Corte costituzionale ha precisato che indici quali l’abitualità dei rapporti tra il parlamentare e il terzo intercettato, il numero delle conversazioni e la loro prevedibilità, nonché la loro proiezione nel tempo, possono non essere da soli sufficienti a qualificare il parlamentare come bersaglio effettivo delle indagini.

Stefano Esposito e il processo da incubo: intercettato 500 volte in tre anni

Era un senatore della Repubblica, Stefano Esposito, del Pd. È finito intercettato ben 500 volte in tre anni, tra 2015 e 2018, nell’ambito di una inchiesta a Torino. Addirittura c’era stato un rinvio a giudizio, utilizzando più di cento di quelle intercettazioni. Senza che mai il Parlamento ne autorizzasse l’uso. Tutto cancellato per intervento della Corte costituzionale.

Anche per quanto riguarda la messaggistica Whatsapp, in applicazione di un’altra recente sentenza, la 170 del 2023 (che riguardava le comunicazioni del senatore Matteo Renzi, sequestro disposto dalla Procura di Firenze e annullato dalla Corte costituzionale) è stata «altresì accertata l’illegittimità dell’acquisizione agli atti di indagine, in data 19 marzo 2018, dei messaggi WhatsApp, indirizzati a (o prevenienti da) Stefano Esposito allorquando egli ricopriva ancora il mandato parlamentare, estratti dalla copia forense delle comunicazioni contenute nel dispositivo di telefonia mobile di altro indagato».

 

 

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