La corrispondenza non è solo quella inviata con la busta di carta, il francobollo e l’indirizzo scritto a penna, possibilmente stilografica. C’è stato bisogno della Corte Costituzionale per stabilire che anche le comunicazioni inviate per posta elettronica o mediante uno dei tanti applicativi di messaggistica istantanea rientrano a pieno titolo nella definizione di corrispondenza. E che, nel caso riguardino un parlamentare, sono soggette alla tutela prevista dall’articolo 68 della Costituzione. Smentita, dunque, la tesi della Procura di Firenze secondo cui i dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono (sms, messaggi WhatsApp, email) sono dei normalissimi documenti e pertanto la loro acquisizione non soggiace alle regole stabilite per la corrispondenza e, tantomeno, alla disciplina delle intercettazioni telefoniche.

Il conflitto di attribuzione era stato proposto lo scorso anno dal Senato nei confronti della Procura fiorentina e riguardava l’acquisizione della corrispondenza intercorsa fra Matteo Renzi e l’imprenditore Marco Carrai, rinvenuta nei dispositivi elettronici sequestrati a quest’ultimo nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione Open. Per il Pm Luca Turco, titolare del fascicolo e forse mosso da una idea ottocentesca del modo di comunicare fra le persone, ai WhatsApp e alle email nella disponibilità di Carrai non si doveva applicare la disciplina dell’articolo 254 cpp, in quanto non ricompresi nel concetto di corrispondenza, la cui nozione implicherebbe “un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito”.

“Appare utile rilevare che negli ultimi anni il concetto di corrispondenza ha subìto un’evoluzione tecnologica: a quella nel tradizionale formato cartaceo si sono aggiunte forme di corrispondenza di tipo elettronico, quali email, sms, messaggi WhatsApp, ed altro”, era invece la tesi del Senato, accolta ieri dalla Consulta, relatore il professore Franco Modugno. Per avvalorare tale tesi, il Senato si era soffermato sulla “segretezza”, il principale criterio distintivo della corrispondenza.

Per quella cartacea la segretezza è garantita “dalla chiusura in una busta del testo scritto”, per quella elettronica “dalla visibilità esclusiva della stessa da parte del destinatario, ad esempio attraverso l’utilizzo del cellulare”. Tornando ai messaggi WhatsApp, “salvo il destinatario, a meno che un terzo non si appropri del suo cellulare, nessuno può visionarli”, così come nessuno può visionare una corrispondenza cartacea destinata a terzi, “a meno che non apra la busta”.

La connotazione di segretezza, propria dei messaggi WhatsApp, era ancora più accentuata per le email tra Carrai e Renzi. “La mail presuppone un account e l’inserimento della password per leggerle, assimilabile in toto all’apertura della busta di una lettera cartacea”, puntualizzava il Senato, ricordando che “la posta elettronica è ontologicamente assimilabile alla posta cartacea, sia sul piano ‘nominalistico’, chiamandosi appunto ‘posta’, che su quello sostanziale”.

Per tali ragioni, i Pm fiorentini avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione a Palazzo Madama per effettuare i sequestri a Carrai. Non essendo stata presentata alcuna richiesta preventiva, i sequestri erano ‘illegittimi’ avendo provocato una lesione delle guarentigie del parlamentare che “sussiste a prescindere dall’utilizzo o meno di tale mezzo di prova nei confronti di Renzi”. Gli organi investigativi – ha quindi precisato la Consulta – sono abilitati a disporre il sequestro di “contenitori” di dati informatici appartenenti a terzi, quali smartphone, computer o tablet: ma quando riscontrino la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria

Paolo Pandolfini

Autore