La paura è di destra o di sinistra? Aveva provato a chiederselo Carlo Calenda l’anno scorso, con un libro che ha avuto più successo in libreria che nei seggi elettorali. E la risposta era che la paura è di tutti, anche di centro. Poi è arrivato Gianrico Carofiglio e lo scenario è saltato: contrordine compagni, la paura è di sinistra. Sicuro? Sicurissimo. Siamo così in piena storia delle idee, materia complicata.

«La destra o è coraggio o non è», diceva Almirante. Prima di lui Mussolini: «Bisogna porsi delle mete per avere il coraggio di raggiungerle». Quando irrompe Salvini, invece, addio coraggio: la chiave di tutto diventa il suo contrario, la paura. Che si ritrova di colpo ad essere di destra. Se Almirante e Mussolini la usavano ma rimuovendola dai rispettivi orizzonti identitari, Salvini la legittima e addirittura si mette al suo servizio. Politiche costruite sulla paura, paura degli immigrati, dei ladri, dei criminali, degli altri. Insomma, tutta questa roba qui. Per cui, in tempi salviniani, guai ad alludere. Se hai paura non sei un fifoso, sei un fascista.

Se prendi in considerazione la paura della gente è perché vuoi alimentarla a fini strumentali ed elettorali, dunque sei un demagogo. Si va avanti cosi fino al coronavirus. Meglio: al primo coronavirus, quello cinese, quello per sentito dire, confinato nella lontana città di Wuhan. Fino a questo punto, infatti, un riflesso condizionato porta Carofiglio e i carofigliani a comportarsi come se al governo ci fosse ancora Salvini. L’intento è illuminista, ma il tono è quello di Maria Antonietta, la regina delle brioches. Il 26 febbraio twitta: «Contro l’isteria collettiva comunico che oggi: 1) ho viaggiato in aereo con persone serene e senza mascherine; 2) sono andato in metropolitana e tutti erano tranquilli; 3) ho preso parte a una tranquilla e affollata presentazione di un libro. Ci tenevo a farvelo sapere».

Poi la Cina si avvicina, e non è il film di Bellocchio. Tutto cambia. Mentre, però, sull’Espresso Donatella Di Cesare ancora parla di isteria collettiva, di psicopolitica e di “fobocrazia”, spiegando che «se la paura domina gli animi, allora con la paura è possibile dominare gli animi altrui», Carofiglio si accorge che al governo non c’è più Salvini. Assecondare la paura ora si può. Anzi si deve. Tanto più che anche gli scienziati temono di non farcela. Non si chiudono solo i porti o gli aeroporti: si chiudono le città, i negozi, le pizzerie, perfino le librerie.

E ovviamente anche i bar: altro che brioches! Carofiglio ne prende atto e non solo fa autocritica, ammettendo ‘“comportamenti stupidi”, il che gli fa onore, ma ripensa da cima a fondo la paura. La sinistrizza. La social-liberizza. La affranca sia dal calendismo neocentrista sia dal fascio-leghismo. Giovedì, su Repubblica, scrive: «Quella che stiamo sperimentando in questi giorni è una paura di comunità: la vita cui eravamo abituati potrebbe non essere più la stessa.

È una paura da fine del mondo, una paura che ci mette in contatto non solo con la nostra fragilità individuale, ma anche con quella collettiva, con una malinconia profonda, con la tristezza, con il senso della perdita. Il lutto». Non solo. «La paura – conclude – va riconosciuta, bisogna trasformarla in strumento di lavoro per cambiare le cose». Tutta un’altra storia. Dalla fobocrazia alla fobofilia. Et voilà. Non più l’intellettuale illuminato a giorno, profeticamente impostato e molto saccente. Ma l’esatto contrario: lo scrittore che finalmente scende dalla panca per mettersi in una condizione simpatetica, così direbbe Martha Nussbaum, «con la concretezza della condizione umana».

Ps. Carofiglio è in corsa per lo Strega. Auguri sinceri, ora più di prima.