“Siamo oltre l’emergenza sanitaria. Questa è una crisi che investe tutte le attività dello Stato, e forse andava considerata sin dal primo momento come un caso da difesa civile, la cui competenza sarebbe spettata al ministero dell’Interno” commenta Luigi Armogida. È stato viceprefetto a Napoli, oggi è in pensione dopo una lunga esperienza in ruoli dirigenziali nella difesa civile al ministero dell’Interno e nella gestione di emergenze nazionali come quella del terremoto dell’Aquila del 2009 e gestioni commissariali, tra le altre, in città come Pompei, Sorrento, Civitavecchia, Tarano, Rovigo. La sua è una riflessione che parte da una premessa a cui tiene: “La mia considerazione non vuole affatto essere una critica al lavoro che stanno facendo il commissario Borrelli, i funzionari della Protezione civile e tutti gli amministratori a livello locale, regionale e statale”. Armogida precisa che “questo non è il momento delle polemiche”.

Ok, non facciamo critiche. Ma in che senso questa emergenza andava considerata come una difesa civile?
“È l’unica cosa di cui mi rammarico. Fronteggiare questa pandemia come caso da difesa civile avrebbe consentito di attivare subito i piani nazionali che avevamo. La Protezione civile, che sta facendo un grande lavoro, si è trovata a gestire questo evento enorme mentre noi avevamo pianificato delle azioni e non mi pare che siano state messe in esecuzione. La difesa civile si distingue dalla protezione civile perché è qualcosa di più complesso, è l’insieme di misure per le quali esistono pianificazioni ben precise. Considerare questa crisi come caso da difesa civile avrebbe permesso sia da un punto di vista giuridico che materiale di farla gestire al ministero dell’Interno che ha sedi periferiche in tutta Italia (le prefetture), ha un piano a livello sia nazionale sia provinciale e ha un organico di dieci volte maggiore. Si sarebbero potute sfruttare molte più risorse”.

Cosa avrebbe fatto se fosse stato lei un sindaco o un pubblico amministratore incaricato di gestire questa emergenza?
“Se fossi stato sindaco, di Napoli come di un qualsiasi altro comune, avrei intensificato gli interventi di disinfestazione nelle strade e invitato anche i condomini a provvedervi a proprie spese. E poi avrei puntato di più sull’assistenza alla popolazione”.

In che modo?
“Trovo utile istituire un centro operativo per dare assistenza alle famiglie in isolamento, ad anziani o a chi vive da solo. La mia idea è di un centro operativo capace di raccogliere tutte le esigenze della popolazione e attraverso gruppi di volontari dare aiuto concreto per le esigenze più semplici, come fare la spesa o andare in farmacia, a quelle più complicate. E mi riferisco a un aiuto anche psicologico, con un servizio di ascolto, ad opera di volontari qualificati, per chi è da solo, senza poter avere alcun contatto con i propri familiari”.

L’isolamento è una prova dura ma appare in questo momento indispensabile e destinato a durare oltre la fatidica data del 3 aprile. Crede che siamo arrivati a questa consapevolezza con un ritardo che si sarebbe potuto evitare?
“Il governo italiano ha dato una risposta abbastanza rapida, a differenza di altri Stati che solo adesso stanno avendo la percezione del fenomeno, che è una cosa enorme e fa paura. Forse la fuga di notizie che ha determinato la fuga di migliaia di persone dal Nord, ecco quella si sarebbe potuta evitare, ma, ripeto, in questo momento non è corretto fare critiche ma solo dire grazie a chi si sta impegnando e ancora va a lavoro”.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).