La decisione
Corte Costituzionale, il campo largo dell’Aventinite. Così l’arte dei “tetti” passa nelle mani di Elly Schlein
Nuova fumata nera per il giudice della Consulta: l’opposizione non partecipa al voto. Parola d’ordine? Non aderire e non sabotare
La musa ispiratrice fu una dipendente di un ambulatorio di analisi cliniche. Proprio lei, l’allora senatrice del M5S Paola Taverna, che insieme ai giovani della “cantera” di Gianroberto Casaleggio, Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, iniziò a frequentare i tetti di Montecitorio. Una scelta di comunicazione in linea con chi voleva aprire la scatoletta di tonno: i parlamentari 5 Stelle elaboravano un video ispirato da Rocco Casalino, attaccavano ad alzo zero il “monarca” Giorgio Napolitano, poi uscivano dall’Aula. Una tecnica usata contro il Pd, che nella XVII legislatura espresse tre presidenti del Consiglio: Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Memorabile un video del 2014 in cui l’intrepida Taverna, con la vocetta impastata in puro romanesco, dagli scranni di Palazzo Madama annunciò l’arrivo della “dittatura”.
L’arte dei tetti di Elly Schlein
Così 10 anni e due legislature dopo, l’arte dei “tetti” è passata nelle mani di Elly Schlein, che rischia nel breve tempo di passare da imprevista a incompresa. L’Aventino riscoperto dal Movimento infatti caratterizzava una forza anti-sistema alla sua prima prova parlamentare; una situazione molto diversa da quella che contraddistingue il Pd oggi. Eppure nel giro di due settimane, il Nazareno decide di salire sui “tetti” per contrastare la maggioranza di Giorgia Meloni. Con esiti paradossali. Ieri nuova gita delle minoranze, sull’elezione del 15esimo giudice costituzionale. Sono 10 mesi che le Camere dovrebbero completare il plenum della Consulta e non ci riescono, nonostante la legge preveda un mese di latenza. Fino all’estate, il mantra dei dem era accusare la destra di dimenticare la Corte Costituzionale. Poi, con l’avventurosa decisione di Fratelli d’Italia (e la conseguente fuga di notizie dalle chat) di spingere per l’elezione del consigliere giuridico di Palazzo Chigi Francesco Saverio Marini, è tornata in auge la “democratura”. La stessa che Paola Taverna scagliò contro l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi.
L’accusa di conflitto di interessi
L’accusa del campo largo è di “conflitto di interessi”, essendo Marini l’autore della riforma del premierato. Un rischio in realtà già risolto, perché i giudici della Corte restano in carica 9 anni: sono quindi naturalmente scollegati dal ciclo politico-elettorale. E dire che fu lo stesso presidente Augusto Barbera a ricordarlo qualche mese fa: “La Corte non rischia di essere minata da contingenti vicende politiche, sia in ragione della diversificazione dei canali di accesso, che alla luce dell’ampia maggioranza richiesta per l’elezione dei giudici di estrazione parlamentare”. Morale: campo largo fuori dall’Aula e ottava fumata nera. 10 giorni prima, Camere riunite per eleggere il nuovo CdA della Rai. E sonora beffa per la segretaria del Pd, i suoi di nuovo sui tetti, mentre M5S e Avs restano sui banchi ed eleggono i loro due consiglieri. Un copione che si ripeterà in settimana in Commissione di Vigilanza: se le minoranze non parteciperanno al voto, la candidata presidente della tv pubblica Simona Agnes non verrà eletta. Al suo posto toccherà al consigliere anziano, il leghista Antonio Marano. Non un grande successo per il campo largo.
L’assenza al 7 ottobre
Un’altra specie di Aventino è quello denunciato dal Riformista martedì. O anche strategia dell’opossum, come dice Calenda: le assenze della sinistra al primo anniversario del pogrom contro gli ebrei del 7 ottobre. Sinagoga di Roma, in prima fila mezzo governo, a partire dalla presidente Meloni e dal vice Matteo Salvini. Per il campo largo due soli deputati: Peppe Provenzano e Piero Fassino (l’artefice di Sinistra per Israele). Lodevoli eccezioni per il fu Terzo Polo: il segretario di Azione Carlo Calenda e la renziana Maria Elena Boschi. Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni non pervenuti. Insomma, il campo largo del disagio (come sabato alla manifestazione romana pro-Pal, nonostante gli incidenti e gli agenti di polizia feriti) rispolvera un’altra disastrosa parola d’ordine del passato: “Non aderire e non sabotare”. Con Schlein che parla a 30 ore dai fatti per dire: “Siamo contro i violenti, ma all’Ostiense c’erano anche tanti giovani pacifici”. Magari gli stessi che predicano “from the river to the sea”, ovvero togliamo di mezzo Israele.
Le eccezioni
Nella scelta isolazionista del Pd, va detto che ci sono pure delle eccezioni: durante l’ultima plenaria del Parlamento europeo sull’Ucraina, gli europarlamentari dem – una volta tanto in Aula – si sono sbizzarriti votando in 4 modi diversi. Insomma, dall’Aventino alla baraonda.
© Riproduzione riservata