La decisione
Corte Costituzionale, la destra ha fame di posti. Meloni aspetta dicembre ma per la Consulta niente spoils system
La strada maestra sarebbe quella di una intesa anche con le forze di opposizione. Ma da tempo si è demonizzato l’accordo tra maggioranza e minoranza, definito come “consociativismo”, termine sparito dal vocabolario politico e mediatico, come quello di “lottizzazione”
Anche martedì il Parlamento in seduta comune, Camera dei Deputati e Senato insieme, non ha votato il giudice della Corte Costituzionale. Ci voleva una maggioranza dei tre quinti (363 su 605), erano presenti e votanti 309, 17 schede nulle, 6 voti dispersi, 286 schede bianche e quindi si andrà ad un ottavo scrutinio. L’11 novembre 2023 era scaduta la giudice Silvana Sciarra, eletta dal Parlamento a novembre 2014 e poi divenuta presidente della stessa Corte Costituzionale a novembre 2022. Una volta scaduto il mandato di Sciarra, il ruolo di presidente è stato assunto dal professor Augusto Barbera.
Quindi tutto normale?
La legge dice che entro un mese dalla scadenza di un giudice sia eletto il sostituto, per completare la composizione di un organo di garanzia per l’equilibrio dei poteri nella Repubblica italiana. Quindi il quindicesimo giudice doveva essere eletto entro l’11 dicembre 2023. Piaccia o non piaccia la Costituzione vigente dal 1948, in un sistema democratico è necessario un organo di garanzia costituzionale, e di controllo sugli altri poteri, legislativo ed esecutivo. Nella nostra Costituzione anche il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia, super partes. E sin dal 1948 le forze conservatrici hanno ritardato l’applicazione delle norme costituzionali e le forze reazionarie e nostalgiche si sono mosse per demolire l’impianto di “democrazia costituzionale” della nostra carta fondamentale. Solo nel 1955 fu completata la prima composizione della Corte costituzionale. Sette anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, e il 23 aprile 1956 si tenne la prima udienza pubblica della Corte, presieduta dal suo primo Presidente, Enrico De Nicola: lo stesso che aveva ricoperto la carica di capo provvisorio dello Stato repubblicano nonché, per pochi mesi, di Presidente della Repubblica. “Dall’insediamento della prima Corte Costituzionale l’obbligo temporale della sostituzione dei competenti decaduti è stato costantemente disatteso e in alcuni casi ha creato situazioni di stallo. Il motivo di questi ritardi ha sempre avuto a che fare con gli equilibri politici e con le logiche di spartizione tra i partiti”. Quindi tutto normale?
La lunga attesa di Mattarella
Siamo al settimo scrutinio: 8 novembre 2023, 29 novembre 2023, 23 aprile 2024, 15 maggio 2024, 25 giugno 2024, 17 settembre 2024, 24 settembre 2024. Al tradizionale incontro del Ventaglio, il 24 luglio 2024, il Presidente Mattarella, rispondendo ad Adalberto Signore, presidente della Associazione Stampa Parlamentare ha commentato: “Se proprio vuole uno spunto di attualità, non glielo nego. Riguarda la lunga attesa della Corte Costituzionale per il suo quindicesimo giudice. Si tratta di un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento, proprio l’istituzione che la Costituzione considera al centro della vita della nostra democrazia. Non so come lo si vorrà chiamare: monito, esortazione, suggerimento, invito. Ecco, invito, con garbo ma con determinazione, a eleggere subito questo giudice. Ricordo che ogni nomina di giudice della Corte Costituzionale – anche quando se ne devono scegliere diversi contemporaneamente – non fa parte di un gruppo di persone da eleggere, ma consiste, doverosamente, in una scelta individuale, di una singola persona meritevole per cultura giuridica, esperienza, stima e prestigio di assumere quell’ufficio così rilevante”.
La destra ha fame di posti
Ma i gruppi parlamentari di maggioranza se ne infischiano bellamente dei richiami del Capo dello Stato, anche perché il senso delle istituzioni e il rispetto della carta costituzionale non sono qualità che si acquisiscono per nomina e non si acquistano al supermercato. La cosa significativa di un periodo storico politico come questo è che la destra ha fame di posti ed ha bisogno di accumulare posizioni, incarichi e quant’altro, prima di andare a casa, consapevole che è quasi sicuro che un destra-centro non si ripeterà più, data la scarsa capacità di governo dimostrata in questi due anni e l’imbarazzante squadra di ministri e sottosegretari presentata al popolo italiano dai fratelli e dalle sorelle d’Italia. L’unica salvezza per la Meloni e soci sta nella scarsa capacità di iniziativa politica e di fare opposizione delle minoranze, oltre tutto divise e incerte sulle tattiche presenti e sulle strategie future.
La prerogativa di Meloni
A gennaio 2024 la Meloni aveva rivendicato la sua prerogativa di dare le “carte” nella partita della Corte Costituzionale, e sta aspettando dicembre quando scadranno il presidente in carica Augusto Barbera e i due vicepresidenti Franco Modugno e Giuseppe Prosperetti. Così il pacchetto da suddividere è di quattro nomine, un congruo numero per spartirsi le nomine nel destra-centro, ma “un conto è valorizzare il pluralismo delle aree culturali, un altro è ritenere di poter applicare lo spoil system anche al “giudice delle leggi, come se si trattasse del gabinetto di un ministero o del consiglio di amministrazione di una società partecipata” ha scritto su Avvenire, Stefano De Martis. Trovo inoltre molto pertinente la valutazione politica che Donatella Stasio ha dato sulla Stampa: “Non dimentichiamo che, là dove le democrazie scivolano nelle autocrazie, il primo passo è la cattura delle corti costituzionali a cominciare dalla nomina dei giudici”.
Inoltre mi sembra evidente che le forze del destra-centro non si fidano tra di loro: perché altrimenti avrebbero già concordato la definizione delle nomine, distribuendole in due tornate, la prima subito e l’altra a dicembre. Infatti, tra deputati (238) e senatori (118) del destra-centro, quattro deputati del Misto, due senatori del Misto, e i quattro delle Autonomie, la Meloni e soci potrebbero avere più del quorum di 363 voti necessario per la elezione. Ma occorre un accordo tra gentiluomini, da rispettare tra una votazione l’altra. Certo la strada maestra – visto che stiamo parlando di un organo di garanzia costituzionale, valido per tutti – sarebbe quella di una intesa anche con le forze di opposizione. Ma da tempo si è demonizzato l’accordo tra maggioranza e minoranza, definito come “consociativismo”, termine sparito dal vocabolario politico e mediatico, come quello di “lottizzazione”.
C’è poi un’altra considerazione da fare. Ai parlamentari che vengono meno ad un obbligo costituzionale non è praticata alcuna sanzione. Ai cittadini, in caso di omesso o tardivo pagamento delle imposte, è applicata una sanzione pari al 30% dell’imposta dovuta e tale sanzione è ridotta alla metà (15%) se il versamento è effettuato con un ritardo non superiore a 90 giorni; se si effettua il pagamento con ritardo inferiore a 15 giorni la sanzione è ridotta all’1% per ciascun giorno di ritardo.
Quindi perché non ridurre dell’1% l’emolumento dei parlamentari per ogni giorno di ritardo nell’applicazione di un obbligo di legge? Ma ci vorrebbe una forza politica riformista che sappia vedere gli interessi generali del Paese e non le miserie di un parlamento di nominati. A proposito, a tutti va bene la legge elettorale che va sotto il nome di Rosatellum, che ha espropriato i cittadini della possibilità di scegliere i parlamentari. E anche se questa vicenda della mancata nomina di un giudice costituzionale contribuisce ad alimentare la sfiducia nella politica e nelle istituzioni, ai gruppi “politici, ai media, ai talk-show non importa nulla. Tanto poi l’astensionismo, ormai espressione maggiore del corpo elettorale, è il tema del giorno dopo le elezioni”, e poi “passata la festa, gabbato lo santo”.
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