L'ultimo romanzo dell'autore napoletano
Cosa sei disposto a fare per avere un figlio? La recensione de “Il tempo delle stelle”, il romanzo di Massimiliano Virgilio
E chissà domani, come sarà domani e se nuoterà su una stella, e se sarà femmina si chiamerà Futura, certo. E se invece non dovesse arrivare, se quella stella non dovesse mai passare, atterrare nella vita come un appuntamento o un’epifania obbligati, qualcuno a coronare e a completare personalità e percorsi; se così dovesse andare che cosa saranno: non esistono sostantivi per definire un uomo o una donna che non sono diventati padre e madre. E che cosa ne sarà di quelle esistenze, di quella coppia che pulsa e si muove come una cosa sola tanto che gli amici la chiamano “l’Entità”, che non si capisce bene dove finisce uno e dove comincia l’altra, i protagonisti de Il tempo delle stelle (Rizzoli), l’ultimo romanzo di Massimiliano Virgilio.
Lara e Giuseppe, lei operatrice sociale, lui giornalista d’inchiesta. Sono loro l’Entità: anche se lontanissimi per estrazione sociale, se appartengono a due Napoli diversissime. Come tutte le coppie hanno sviluppato un loro intimissimo vocabolario, come solo quelle da invidiare sono una sorta di associazione di Carboneria a due che congiura contro il mondo. Il mondo intorno che comincia a essere una valanga: una slavina di passeggini, biberon, pappette e seggiolini. È “una sorta di complotto degli orologi biologici che cinge d’assedio la coppia infertile”.
Quando provano anche loro non ci riescono, attraversano studi grotteschi e incontrano luminari, cambiano dieta e modificano abitudini per il loro obiettivo. Niente. Pensano all’inseminazione artificiale, ci si mette anche il covid-19 di mezzo. Su questa ferita incisa lo scrittore affonda in profondità ma con delicatezza e precisione. E non è una questione di donne. “A noi donne il senso di colpa ci rimbomba dentro, come un’eco. Lo poppiamo fin dal primo vagito. E senza ruttino”, ha recitato a Sanremo l’attrice Chiara Francini nel suo monologo sulla maternità mancata. È un trend. Simonetta Sciandivasci ha animato su La Stampa un dibattito su chi sceglie di non diventare madre, il 5% delle donne secondo l’Istat, bombardate dagli inviti a figliare e dalla crisi della natalità manco fossero colpevoli. Quando si parla di infertilità è sempre di donne che si parla. Il tempo delle stelle invece scuote come fosse un barattolo il tabù della paternità.
Geppo avanza su un filo teso tra il paternalismo e il desiderio di diventare genitore. “La parola desiderio viene da ‘de-sidera’, sai cosa vuol dire? Mancanza di stelle, essere senza stelle”. Lui ha almeno un segreto e tre doppi, tre avversari: il padre, Toni Essobti Badre, l’uomo condannato in Appello all’ergastolo per aver pestato a morte Giuseppe, sette anni, a Cardito nel 2019. Virgilio intreccia la fiction e la cronaca nera in un romanzo scandito da parecchia musica e sagace ironia. E quando le ossessioni, le aspettative, il modello imposto a tutti che Giuseppe con Lara hanno ereditato diventano una possibilità, l’opportunità di scegliere, il tormento di essere genitori si trasforma in un noir. Che scende a indagare da che parte queste due persone vogliono stare.
Quando una coppia progressista si spinge a giudicare vite difficili come vite che non possono che finire nella merda, si interroga anche se per fare una famiglia serve a forza un figlio, per vedere un futuro un erede, se per completarsi è necessario diventare genitore. O se invece aspettare che ritorni la luce, senza avere paura, domani.
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