Anche i Balcani si infiammano
Cosa sta succedendo in Kosovo, le tensioni con la Serbia e il ruolo di Russia e Nato: “Situazione esplosiva”

Gli scontri nel nord del Kosovo tra militari delle forze Nato e manifestanti serbi confermano che nel cuore dei Balcani la tensione non è mai scomparsa. Nonostante l’impegno della Nato, dell’Unione europea e delle potenze coinvolte nel Quintetto (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti), i rapporti tra Belgrado e Pristina continuano a essere difficili. E la condizione della minoranza serba nella parte settentrionale del Kosovo rappresenta un punto interrogativo che ancora oggi può diventare l’innesco di ostilità dai contorni poco chiari.
Le ultime violenze, quelle in cui sono rimasti feriti diversi soldati italiani del contingente di Kfor, sono solo l’ultima di lunga serie di avvisaglie fatte di tensioni, boicottaggi, blocchi e proteste, in cui la diplomazia ha fatto il possibile per far desistere tanto il governo kosovaro quanto quello serbo da azioni ritenute rischiose. Un lavoro continuo, fatto di piccoli passi avanti ma anche di clamorosi passi indietro.
Soltanto pochi giorni fa, l’inviato speciale di Washington per i Balcani occidentali, Gabriel Escobar, affermava all’agenzia serba “Mina” che l’accordo tra i due Paesi, raggiunto nelle scorse settimane, rappresentava un passaggio fondamentale, giuridicamente vincolante, esortando entrambi i governi a mosse “coraggiose”. Poi, nell’arco di una settimana, le proteste serbe contro i sindaci eletti in elezioni boicottate e l’invio delle forze speciali kossovare per fermare i dimostranti hanno fatto ricadere tutto nel caos.
Ad aumentare la complessità di un fragile equilibrio etnico, si aggiungono poi le dinamiche internazionali. Alle rivendicazioni territoriali, infatti, si uniscono anche le lotte per l’influenza sulla regione, che fondono istanze locali, nazionalismi, rancori, questioni di natura regionale e continentale. I Balcani risentono non solo di guerre lì combattute e a noi vicine nel tempo e nello spazio, ma anche di quelle tensioni che caratterizzano i nostri giorni e che riguardano lo scontro tra Occidente e Russia. La regione sudorientale dell’Europa è un crocevia fondamentale di queste tensioni internazionali, soprattutto perché in Kosovo operano i militari dell’Alleanza Atlantica, coinvolti nel mantenimento della pace e nel sostegno alle istituzioni di Pristina, mentre la Serbia è tradizionalmente legata a Mosca (e in una certa misura adesso anche a Pechino).
Belgrado ha da tempo avviato un percorso di avvicinamento all’Unione europea e quindi al sistema occidentale. Tuttavia, i legami con la Federazione Russa difficilmente possono essere interrotti, mentre le rivendicazioni nei confronti del Kosovo rimangono sostanzialmente immutate andando ad aprire ferite mai rimarginate sia da parte serba che da parte kossovara. In questo contesto, ogni focolaio può essere utilizzato come miccia per innescare violenze o come “avvertimento”. Molto spesso lo scontro rimane inquadrato in logiche politiche meramente interne, con le parti che provano a forzare la mano per raggiungere un accordo che sia il più possibile vantaggioso. Ma non va mai sottovalutato il problema di come questo focolaio nel cuore dei Balcani sia anche un fattore di instabilità dal valore internazionale.
Le parole del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, sono state molto nette. “Si sta sviluppando una situazione esplosiva nel cuore dell’Europa, dove la Nato ha sferrato una aggressione contro la Jugoslavia nel 1999, violando qualsiasi principio dell’Atto finale di Helsinki e di ogni altro documento dell’Osce” ha detto il capo della diplomazia di Mosca parlando di quanto accaduto nel nord del Kosovo. E ha concluso dicendo che “i serbi stanno combattendo per i loro diritti”. Il richiamo di Lavrov sembra soprattutto da declinare in chiave attuale e “pro domo sua”. Ciò che ha detto il rappresentante russo sulla situazione balcanica sembra infatti essere lo stesso pensiero che il Cremlino applica nella situazione ucraina, con l’accusa all’Occidente e alla Nato di avere provocato la tensione e l’invasione. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha poi lanciato un’accusa ancora più pesante, parlando dei militari di Kfor come “fattore di escalation”. Parole che fanno capire come Mosca abbia molto chiara l’importanza del Kosovo come strumento di propaganda. Meno, dicono gli esperti, la sua presa reale sul terreno.
Ma il limbo dei Balcani, sospesi tra adesione o meno a Ue e Nato di alcuni Paesi fondamentali nello scacchiere regionale può essere un grande fattore di rischio per la stabilità del continente. Non deve sorprendere, quindi, che l’integrazione nel sistema europeo, soprattutto per quanto riguarda la parte occidentale dell’area, rappresenti un tema costantemente in cima all’agenda esterna di Bruxelles. E questo vale anche per l’Italia, Paese di frontiera e necessariamente interessato a quanto accade dall’altra parte dell’Adriatico: dal confine nordorientale fino alla Bosnia, dai rapporti con Tirana e Belgrado fino al centro nevralgico del Kosovo.
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