Editoriali
Custodire la libertà, sognare un mondo diverso: il 25 aprile è un monito al Paese in crisi
Disse Alcide Cervi “Dopo un raccolto ne viene un altro. Ma il raccolto non viene da sé, bisogna coltivare e faticare, perché non vada a male”. Un impegno che va rinnovato ogni giorno, a maggior ragione oggi nel mezzo di una pandemia che sta mettendo in crisi la nostra quotidianità e sta portando via tantissimi eroi e testimoni di quel 25 aprile di 75 anni fa. In un Paese che ha poca memoria, abbiamo il dovere di custodire la nostra storia con cura crescente considerato che si avvicina il giorno in cui saremo orfani dei protagonisti di allora.
Il Sindacato e il lavoro hanno guidato le svolte decisive del nostro Paese. Risuonano ancora le frequenze di Radio Milano Libera che, il 25 aprile del 1945, portarono nelle fabbriche lo sciopero generale lanciato da Sandro Pertini contro la guerra fascista.
Durante la Resistenza il lavoro ha espresso tutta la propria carica di emancipazione e libertà. Gli operai riorganizzarono il Sindacato democratico nelle fabbriche, ostacolarono con scioperi e sabotaggi la strategia di guerra e contribuirono a riannodare la cultura tra le persone. Il prezzo fu alto: molti furono uccisi, tanti finirono nei campi di concentramento come gli undici delegati sindacali della Franco Tosi di Legnano deportati a Mauthausen che ogni anno il Sindacato ricorda e ringrazia. Attorno a chi imbracciò le armi e scelse la via dei monti c’era un contorno di eroismo civile che garantiva la tenuta dei ribelli e aiutava ad allargare il fronte, anche dal punto di vista culturale e sociale. Le donne, instancabili staffette partigiane, si caricarono sulle spalle il mantenimento della famiglia mentre i mariti si muovevano tra gli aghi di pino. Insomma, la Resistenza fu un atto eroico e coraggioso, patrimonio collettivo da difendere da revisionisti straccioni e da sottrarre a contese per accaparrarsene proprietà e primogenitura che finiscono solo per smontarne la portata storica. I partigiani realizzarono una grande riconversione industriale: da fabbriche belliche e distruttive a sartorie civiche capaci di cucire speranza e coesione sociale unendo in un larghissimo fronte comune socialisti, comunisti, democristiani, azionisti, monarchici, liberali, repubblicani, anarchici e perfino il Fronte dell’Uomo Qualunque. Tutti capaci di alzare lo sguardo unendosi su valori e obbiettivi comuni e nobili, sacrificando interessi di parte. Oggi, con una politica concentrata a indicare nemici e problemi, incurante di costruire alleanze e soluzioni, dobbiamo riscoprire quella capacità di sintesi alta, fatta di progettualità collettiva e bene comune. Solo quando si saprà trovare un ideale più alto, attorno al quale unire e aggregare le energie migliori, questo Paese avrà la forza di risollevarsi. Uno scatto necessario in questa emergenza che ci impone di immaginare orizzonti nuovi verso cui traghettare il paese impegnandoci ognuno per la propria responsabilità, proprio come fecero i partigiani che in piena guerra sognavano i primi 12 articoli della nostra Costituzione che contengono quel modello di società che seppero inseguire.
La Resistenza fu quindi un periodo di studio che testimonia quanto la cultura sia la pietra su cui costruire tutte le riscosse popolari, proprio come fecero i fratelli Cervi realizzando una biblioteca clandestina per iniziare a preparare il terreno per la ricostruzione del Paese.
Conoscenza del passato, cura del presente e anticipazione del futuro sono i fari che guidano i nostri passi verso la costruzione di una società migliore e più giusta che faccia del lavoro il filo conduttore che abbraccia le persone in un progetto collettivo, elemento fondante dell’identità e della realizzazione di ognuno. È una delle eredità di Primo Levi che in “La chiave a stella”, suo inno al lavoro, ci ricorda che: “Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione alla felicità sulla terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono”.
Il mondo diverso sognato da Germano Nicolini, partigiano centenario, non esiste ancora. La fase storica è complicata, ma è il momento giusto per chi ha l’ambizione di contribuire a spingere il Paese sulla via giusta organizzando, ogni giorno, la speranza. È il nostro modo di raccogliere il pesante testimone di chi si è battuto per la nostra libertà, in un’infinita staffetta fatta di idealità e forte senso etico.
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