Senza una voce geopolitica
Da Biden a Trump, da Putin a Erdogan, la lezione all’Europa orfana di leader: da guida del mondo ad anello debole
Il Vecchio Continente è diventato uno spettatore passivo. Mancano statisti in grado di giocare le grandi partite geopolitiche: tra crisi di governo e fratture, abbiamo rinunciato al ruolo di protagonisti nel mondo
Non c’è bisogno di essere cultori di messer Niccolò per sapere quanto conti il coraggio in politica. E una cosa dice, fuor di ogni dubbio, il proiettile di Butler. Trump di coraggio ne ha da vendere. Colpito, sanguinante, riemerge dalla selva dei suoi inutili bodyguard per rivolgersi alla folla, petto in fuori, pugno alzato e il grido rabbioso, “fight!”. Eppure non basta riconoscere al temutissimo tycoon una straordinaria energia. Non basta il coro di ammirazione che – ironicamente – mette assieme neocon e liberal, destra e sinistra. Non basta soprattutto agli europei. I quali forse avrebbero altro da chiedersi. Ad esempio perché il Vecchio Continente, il nostro comune gioiello di civiltà, sia l’unico pezzo di mondo che non ha leadership forti.
Da Trump a Putin a Erdogan, chi sono i leader attuali
Certo, su questo piano, i paragoni sono impietosi. In America, s’è detto con scandalo, corrono per la Casa Bianca due vecchi. E sarà pur vero, anagrafe alla mano. Ma il settantottenne Trump, l’eversivo Trump, è un combattente a tal punto vorace da rispondere alla morte con un ghigno, da affrontare trionfante il giudizio di Dio. E neppure l’ottantaduenne Biden, del resto, si arrende. È claudicante, incespica nelle parole, ha la memoria corta e tuttavia non si arrende. Si può negare che siano due leader forti, aggressivi, feroci? E si può negare coraggio politico al despota di Mosca, che osa attaccare l’intero Occidente, che fa a pezzi la lunga pace europea, che manda al massacro centinaia di migliaia di compatrioti?
Si possono negare le doti di Mohammad Khatami, che muove l’intera partita medio-orientale, gestisce eserciti del terrore, comanda da dietro le quinte un grappolo di Stati? Si può disconoscere l’abilità manovriera di Recep Erdoğan, che compra gli F-16 dagli americani e flirta con l’asse russo-cinese? Per non dire di Kim Jong-un che, a furia di scenografie missilistiche, ha trasformato un paese marginale in una sponda preziosa per i registi della nuova Guerra Fredda. Per non dire di Xi, naturalmente, il comunista più potente, il sorridente autocrate dello scontro fra la civiltà giudaico-cristiana e la civiltà confuciana.
Europa senza una voce geopolitica
Il mondo sembra andare a pezzi, visto dagli europei. Ma la verità è che la storia continua a camminare sulle gambe della politica e la politica continua a camminare sulle gambe dei suoi leader. I quali nel Vecchio Continente – vecchio di nome e di fatto – mancano clamorosamente. Chi mette a confronto lo svilupparsi degli eventi – guerre, terrorismo, conflitti religiosi, diplomazia globale, crescita del Grande Sud – con quanto succede a Bruxelles e nelle capitali europee, non può che rimanere sconcertato. Non sembra esserci, in Europa, alcuna leadership in grado di restituirle una voce geopolitica. Non nell’Unione, che nel frattempo tesse arzigogolati merletti per designare la nuova presidenza e la nuova Commissione.
Ma neppure nei singoli paesi, retti da governi spesso disomogenei, afflitti da fratture politiche interne, desertificati dalla crisi dei partiti novecenteschi. Ursula von der Leyen, Manfred Weber, Stefan Löfven, Olaf Scholz, Pedro Sánchez, Viktor Orbán, Giorgia Meloni: sono questi i leader che dovrebbero giocare le grandi partite del mondo attuale? O Emmanuel Macron, sconfitto dai sindacati, dalla piazza, dagli elettori? O invece sarà necessario ricorrere al solito Mario Draghi, che tutti stimano e nessuno vuole?
Da guida del mondo ad anello debole
Ricca di sacri princìpi, di sapienza filosofica, di beni materiali, l’Europa non sembra reggere al confronto. E la mancanza di leader adeguati (e di adeguate classi dirigenti) costituisce peraltro la punta di un iceberg il quale affonda negli abissi dell’oceano, cioè nella storia. È la storia del Novecento che ha trasformato questo Continente da guida del mondo ad anello debole del multipolarismo. È nel Novecento che l’Europa è diventata il motore e promotore delle più distruttive ideologie e pratiche politiche mai prodotte da mente umana, il comunismo, il fascismo, i totalitarismi. È nel Novecento che ha inflitto all’umanità le più cruente guerre mai sperimentate, perdendo così – oltre all’anima – la sua legittimazione geopolitica, dovendosi ritirare dai propri imperi extraeuropei, diventando il satellite (diviso a metà) della partnership sovietico-americana.
Rinunciando, in una parola, a un dominio globale che aveva esercitato per secoli. E nel frattempo, comprensibilmente, dilagava la crisi della sua autocoscienza, i chierici vivevano sugli allori di un passato remoto o tacevano schiacciati dai sensi di colpa, scienza e tecnica lentamente si trasferivano altrove, dapprima oltre Atlantico, in seguito nell’Estremo Oriente. E si trasformava la stessa società europea, vivace e aggressiva ancora negli anni della ricostruzione del secondo Dopoguerra, poi sempre più intrappolata nel cocktail venefico di statalismo, benessere, declino demografico. Il Continente degli animal spirits e degli emigranti diventava il Continente dei pensionati e degli immigrati. Una sorta di lento, progressivo letargo, che naturalmente ha avuto storie diverse da paese a paese, ma che ha finito per spegnere le ambizioni delle classi dirigenti e delle popolazioni del pezzo più civile e più ricco del mondo.
Un destino già scritto
Fino a questo Terzo Millennio. Oggi l’Europa sembra scrutare nel futuro come fosse un destino già scritto. Attende ansiosa l’esito delle elezioni americane, temendo la deriva (ancor più) isolazionista di un’eventuale presidenza Trump. Assiste in silenzio all’occupazione della sponda Sud del Mediterraneo da parte di russi, turchi e cinesi. Centellina gli aiuti a Kiev, impaurita dalle minacce di Putin e restia a chiedere soldi ai propri contribuenti. Sono passati sessant’anni da quando fu discussa l’ipotesi di una Comunità di Difesa Europea (CED), cioè di un esercito continentale. Alla fine l’ipotesi non si realizzò per il rifiuto del Parlamento francese e del Parlamento italiano ma, dati i tempi, rispecchiava una visione estremamente coraggiosa da parte delle classi dirigenti. Sarebbe stato un gigantesco passo in avanti sulla strada di una futura Europa politica. Ma dietro quel progetto c’erano Jean Monnet e Altiero Spinelli, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer. C’erano i leader forti e lungimiranti che mancano oggi al Vecchio Continente.
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