Si sta svolgendo un’interessante discussione su se e come superare il limite dei mandati elettivi, dopo un chiaro segnale in tal senso da parte di Vincenzo De Luca, presidente della Campania al suo secondo e ultimo, come del resto lo è Luca Zaia in Veneto. Intervistati separatamente dal Corriere del Mezzogiorno, i costituzionalisti Paolo Tesauro e Pietro Ciarlo ricordano che, per introdurre la possibilità di un terzo mandato, non basta che la Regione intervenga a modificare con propria legge «il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali», perché questo può farsi solo «nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi» (articolo 122 della Costituzione).

La discussione in tema è aperta da tempo nel Movimento Cinque Stelle, aspetto essenziale della contesa tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo per il suo controllo. Da noi, una volta, le élite dei partiti si assicuravano di fatto una lunga sopravvivenza parlamentare, gli altri – nella Dc e nel Pci – ruotavano dopo un paio di legislature, ma per le istituzioni il limite non era scritto. Negli Stati Uniti il tetto dei due mandati presidenziali fu introdotto solo dopo il terzo consecutivo di Franklin Delano Roosevelt. In Italia la durata della carica nominalmente analoga è settennale, dunque assai lunga, ma la Costituzione non vieta la rieleggibilità, il che ha permesso la reinvestitura a tempo di Giorgio Napolitano e qualcuno pensa di forzare la mano di Sergio Mattarella che ha già dichiarato l’indisponibilità a continuare. Non sono più nominabili i giudici costituzionali scaduti, non immediatamente rieleggibili i membri elettivi del Consiglio superiore della magistratura, non in genere (una volta non era così) direttori di dipartimenti e rettori delle università.

Occorre dovunque bilanciare due esigenze: non disperdere l’esperienza, evitando però avvitamenti alle poltrone e favorire la circolazione delle élite, senza tuttavia incoraggiare improvvisazione, dilettantismo e arrembaggio. Il professionismo in politica non è un male, se nutrito di idee e anche sulla percezione di questo gioca oggi Antonio Bassolino, benché si possa anche pescare in altri ambiti personaggi che tengano assieme visione e capacità gestionale comprovata. Come ha notato Paolo Macry, i partiti hanno da tempo smesso di essere poli di attrazione e di formazione, essendo consorterie di correnti senza democrazia interna per mancata attuazione dell’articolo 49 della Costituzione e nel baratro aperto si infilano sentimenti antipolitici, avventurieri, lobby e (assai raramente) persone di ottime intenzioni, ma anche rassegnate ad avvisi di garanzia per abuso d’ufficio da cui si libereranno solo dopo molti anni e processi.

Con regole opache, in un quadro che non invoglia, le squadre cambiano troppo lentamente e soprattutto i capitani sono sempre gli stessi e la pandemia ha contribuito a fare stringere i freni del ricambio. Così nella gara per sindaco di Napoli i candidati in pectore hanno a lungo gareggiato a chi si teneva più lontano da una maglia di club troppo stretta, mentre il più targato di tutti oggi gioca da solo e nelle ultime tre tornate regionali Vincenzo De Luca e Stefano Caldoro si sono giocati finora la partita di andata, quella di ritorno, la bella e magari disputeranno qualche altro incontro supplementare in futuro.