Vi ricordate del colonnello dei carabinieri Giorgio Naselli, l’ex comandante provinciale di Teramo arrestato a dicembre del 2019 nell’ambito dell’inchiesta “Rinascita Scott” condotta dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri? È stato prima degradato e poi licenziato. E tutto ciò senza che ci sia stata una sentenza di condanna, neppure in primo grado, e con la Cassazione che aveva addirittura annullato l’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti. Breve riassunto per chi si fosse perso qualche passaggio di questa storia.

Naselli viene arrestato all’alba del 19 dicembre del 2019 con l’accusa di associazione mafiosa e rivelazione di segreti d’ufficio in concorso con Giancarlo Pittelli, avvocato calabrese e parlamentare di Forza Italia. Insieme a loro altre 332 persone in quella che Gratteri definisce «la più grande operazione antimafia dopo il maxi processo di Palermo».
Naselli e Pittelli si conoscono da tempo, in quanto il colonnello dal 2006 al 2017 aveva lavorato in Calabria ricoprendo l’incarico di comandante del Reparto operativo di Catanzaro. Secondo Gratteri, Pittelli, dopo aver avuto da Naselli la notizia “segreta” di una interdittiva antimafia in arrivo ai danni di un certo Rocco Delfino, l’avrebbe comunicata all’interessato. Piccolo particolare: la notizia era pubblica. Pittelli, nel frattempo diventato avvocato di Delfino, avrebbe quindi chiesto un favore a Naselli.

La pistola fumante sarebbe l’intercettazione dove il colonnello risponde a una domanda di Pittelli sulla situazione di Delfino. Spiega che è complicata e poi dice: «Eventualmente lasciamo decantare la pratica». Da questa frase gli investigatori deducono che Naselli abbia promesso a Pittelli un rinvio sine die del provvedimento. Peccato che il provvedimento era stato eseguito esattamente sei giorni dopo la telefonata. Ma di questo nell’ordinanza di arresto non c’è traccia. Capita. Naselli, classe 1967, accademista e fino a quel momento destinato ad una prestigiosa carriera, viene allora tradotto da Teramo al carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Assistito dagli avvocati Gennaro Lettieri e Giuseppe Fonte presenta ricorso per la scarcerazione al Tribunale del riesame, ottenendo però la sostanziale conferma del quadro accusatorio. Lettieri e Fonte si rivolgono alla Cassazione che a luglio del 2020 smonta in radice tutte le accuse, scarcerando Naselli, in quanto «l’aggravante agevolativa dell’attività mafiosa ha natura soggettiva e si applica al concorrente solo se da lui conosciuta».

«La pronuncia non lascia scampo alla ipotesi accusatoria, definitivamente demolita», commentò soddisfatto Lettieri. «Il colonnello Naselli – aggiunse l’avvocato – viene restituito alla libertà, con piena dignità ed immutato onore, che nessuno della nostra comunità, in realtà, aveva mai messo in dubbio. Naselli è stato “punito” senza alcuna colpa e senza alcuna verità, sacrificando i valori di civiltà e di certezza del diritto» . «La giustizia in questo paese trionfa, ormai, soltanto dopo i suoi grandi fallimenti», aveva quindi concluso Lettieri. L’avvocato, presidente della Camera penale di Teramo, non aveva però fatto i conti con Gratteri e con l’Amministrazione militare. Invece dell’archiviazione a Naselli arriva dopo poco dalla Procura una bella richiesta di rinvio a giudizio e dal Comando generale la comunicazione del procedimento di stato per la sua degradazione sul campo. La scala gerarchica, pur senza alcuna sentenza di condanna, aveva deciso di aprire nei suoi confronti un procedimento disciplinare di “stato”, quindi per accertare se potesse rimanere nei carabinieri, continuando ad indossare sulle spalline i gradi di colonnello.
Forti della pronuncia della Cassazione, gli avvocati erano fiduciosi del risultato finale.

La Commissione disciplinare, composta da cinque generali nominati dal comandante dell’Arma, purtroppo per Naselli, lo scorso dicembre non ha seguito la Cassazione rimanendo ferma alle iniziali accuse di Gratteri. Risultato: licenziamento in tronco e perdita del grado. Da colonnello a soldato semplice per aver leso il prestigio ed il decoro dell’Arma. Ovviamente senza stipendio. L’ormai ex colonnello, con quattro figli, ha impugnato quindi il provvedimento davanti al Tar del Lazio. L’udienza era stata rinviata più volte perché l’Avvocatura dello Stato non depositava le memorie. Alla fine il Tar confermerà la decisione. L’ultima parola spetterà ora al Consiglio di Stato. A Naselli non resta che accendere un cero.