Approda domani in Cassazione la patata bollente dell’inchiesta senza reato sull’archivio di Paolo Persichetti che resta sotto sequestro nonostante il Riesame abbia azzerato le accuse di associazione sovversiva e favoreggiamento di latitanti suggerendo quella di violazione del segreto politico e il gip abbia scritto che manca un capo di incolpazione minimamente delineato.

Nessuno però si vuole prendere la responsabilità di dissequestrare l’archivio “sigillato” l’8 giugno scorso. Il gip che pure aveva messo nero su bianco ricordando alla procura che la giustizia non ha tempo da perdere né soldi da buttare decideva di non decidere sull’istanza di dissequestro presentata dall’avvocato Francesco Romeo probabilmente anche perché si avvicinava l’udienza in Cassazione.

Insomma continua una sorta di caccia al reato nell’ambito dell’ennesimo filone di inchiesta sull’affare Moro. L’indagine romana coordinata dal pm Eugenio Albamonte di Magistratura Democratica è figlia di un’inchiesta nata a Milano su presunti “fiancheggiatori” della latitanza di Cesare Battisti. La Digos del capoluogo lombardo firmava una relazione in cui chiedeva alla procura di perquisire Persichetti. Il procuratore aggiunto Alberto Nobili non certo l’ultimo arrivato in materia di indagini non solo non aderiva alla richiesta della polizia ma chiedeva e otteneva l’archiviazione.

Dopodiché scendeva in capo la procura di Roma in relazione alla diffusione da parte di Persichetti di bozze di relazioni della commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro e su contatti con Alvaro Lojacono Baragiola condannato per via Fani ma mai estradato in quanto cittadino svizzero.

Ammesso e non concesso che quelle carte della commissione potessero essere considerate segrete va sottolineato lo strano comportamento della procura di Roma che accusa da un lato Persichetti di avere diffuso informazioni riservate ma dall’altro lato ha sempre ignorato le ripetute fughe di notizie che hanno caratterizzato l’attività della commissione parlamentare presieduta da Giuseppe Fioroni.

Lo stesso Fioroni che è stato sentito come testimone nell’indagine su Persichetti. C’è un gioco di complicità tra la commissione che non c’è più perché non rinnovata in questa legislatura e la procura di Roma che ne continua l’attività a caccia di misteri inesistenti nell’affare Moro.

Sono almeno cinque le fughe di notizie relative a carte della commissione sulle quali la procura si è ben guardata dall’indagare a cominciare dalla deposizione del boss Raffaele Cutolo.
Dopo quattro cambi del capo di imputazione spetta alla Cassazione la scelta: o dissequestrare l’archivio azzerando tutto oppure ritenere valido il reato di violazione del segreto politico per far proseguire un’indagine più che zoppa. In realtà il problema è politico. Quello della ricerca storica indipendente dai poteri. Il lavoro di Persichetti dà fastidio perché facente parte dell’attività di un intraneo al tentativo di rivoluzione fallita. Il messaggio è che gli sconfitti non hanno diritto di ricostruire la storia. Paradossalmente però nel caso specifico sono i contenuti della commissione e della procura a essere in contrasto con la verità emersa da ben sei processi: dietro le Br c’erano solo le Br. Ma per ragioni di propaganda non ne vogliono prendere atto e indagano senza neanche riuscire a trovare un reato.