Per usare le parole del ministro 5 Stelle Federico D’Incà quando alle sette di sera entra spedito dentro Montecitorio, «è stata una di quelle giornate in cui la soluzione si trova all’ultimo minuto». Quando il minuto prima sembrava che tutto dovesse saltare in aria. In aria, in questo caso, è sembrato che dovesse saltare la maggioranza che sostiene il governo Draghi. Perché sulla giustizia, complici ritardi e pause forzate, almeno fino alle 18 fonti parlamentari 5 Stelle hanno fatto circolare parole come «forte preoccupazione», «si può andare verso l’astensione in consiglio dei ministri», «tutto sommato ci conviene andare per un anno e mezzo all’opposizione», «Conte gioca al rialzo per poi andare a rompere». Qualcuno, più d’uno, ci ha creduto e sperato. Poi è arrivato lo stop. Direttamente da Luigi Di Maio che nella lunga pausa pomeridiana avrebbe telefonato a Conte dicendo che poteva bastare così. Che la partita andava chiusa. Che era già abbastanza quanto era stato ottenuto. Intorno alle 18 e 30 è, infatti, arrivata la fumata bianca. Drammatizzare e poi risolvere: è uno schema ormai noto, già collaudato più volte in questi tre anni di legislatura.

Mentre l’auto del premier Draghi e del ministro Franceschini lasciavano velocemente palazzo Chigi in direzione Colosseo per la cerimonia di inaugurazione del G20 della Cultura, la ministra Cartabia è uscita dal portone principale di palazzo Chigi per chiudere sorridente la partita. «Abbiamo raggiunto all’unanimità la mediazione grazie a quelle modifiche tecniche che ci sono state sollecitate anche dagli ambienti giudiziari e dell’avvocatura. È una giornata importante. L’obiettivo della riforma è garantire una giustizia celere, nel rispetto della ragionevole durata del processo, e allo stesso tempo, garantire che nessun processo vada in fumo».

Quasi si fossero messi d’accordo, qualche metro più in là, Giuseppe Conte lasciava la war room nella sede del gruppo parlamentare dei 5 Stelle, e s’infilava nella gelateria Giolitti dove, anche lui sorridente, ha spiegato perché il Movimento è «soddisfatto dei miglioramenti ottenuti» mentre gustava una granita all’amarena, faceva selfie con alcuni pugliesi in vacanza e offriva il gelato ad alcuni bambini.

Show a parte, il nuovo testo è arrivato in serata in Commissione Giustizia alla Camera dove i deputati lo attendevano per leggere ogni passaggio della mediazione. Per cercare le rispettive bandierine, capire chi ha vinto e chi ha perso. Oggi sarà in aula, come previsto, e lunedì sarà messa la fiducia.

Ad una prima lettura, ecco come è stato risolto il nodo invalicabile della prescrizione. La riforma Cartabia prevede che la prescrizione si blocca dopo il primo grado (simulacro della Bonafede) e che a quel punto scatta la tagliola della improcedibilità per i processi: due anni in Appello e un anno in Cassazione. Per tutti i reati. Dopo vari passaggi e tira e molla, la mediazione adesso prevede che per i primi tre anni di applicazione della riforma (fino al 2024), la durata del processo d’Appello si estende per un ulteriore anno e quella del processo per Cassazione di ulteriori sei mesi. Accolta quindi la mediazione proposta dal Pd, il lodo Bazoli-Serracchini. Per i reati speciali – associazione mafiosa, scambio politico mafioso, associazione finalizzata allo spaccio, violenza sessuale e reati con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico – i giudici di Appello e di Cassazione possono con ordinanza, motivata e ricorribile in Cassazione, disporre l’ulteriore proroga del periodo processuale in presenza di alcune condizioni riguardanti la complessità del processo. Per i reati aggravati di cui all’articolo 416 bis, primo comma, la proroga può essere disposta per non oltre due anni. Qui, se andiamo in cerca di bandierine, sono state alzate quelle dei 5 Stelle. Le proroghe, tranne che per il 416bis primo comma, potranno infatti essere “infinite” se per motivati profili di “complessità” (anche questa una soluzione indicata dal Pd). Italia viva ha ottenuto ciò a cui puntava da due anni e per cui sono già caduti due governi: la fine della prescrizione Bonafede, aggirata e affondata. «Il caro estinto – sintetizza Renzi – è la riforma Bonafede, il match si è finalmente concluso e M5s ha perso».

Gli unici che devono vincere in questa storia sono gli italiani che sono costretti a processi lunghissimi e incerti. E l’Italia che deve prendere i soldi del Pnrr grazie, ora, alla riforma del processo penale. Comunque in serata, in Commissione giustizia, girava un foglietto. Con la lista delle richieste 5 Stelle che non sono state accolte. Sono sette. Respinta l’imprescrittibilità dei reati di mafia e terrorismo o comunque aggravati dal metodo mafioso e l’estensione ai reati contro la PA il cui limite massimo di durata, anche dopo il periodo transitorio, doveva essere esteso a 4 anni. Respinta la richiesta di “modificare la decorrenza del termine di durata in Appello, da non individuare nel momento dell’impugnazione. E anche la richiesta di abrogare la norma sui criteri generali indicati dal Parlamento alle procure. Nulla da fare per il giudice monocratico in appello per i casi meno gravi. Respinta anche la richiesta per cui, nel caso di processi con più capi d’imputazione su uno o più imputati, l’improcedibilità avrebbe seguito il reato più grave. È una lista molto tecnica, che è stata messa nero su bianco per tenere a bada facili entusiasmi, narrazioni e ricostruzioni sbagliate. Ora resta da vedere se il tempo dei processi sarà alla fine veramente ridotto.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.