Il parere
Donne incinte in carcere, legge fatta per 100 ragazze rom: governo pensi a riconoscere minoranze
Nel “Si&No” del Riformista spazio alle nuove norme sicurezza approvate nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri. Giusto l’intervento sulla detenzione delle donne incinte? Favorevole Grazia Di Maggio, Deputata Fratelli d’Italia, secondo cui “così non si utilizzerà più la condizione di gravidanza per continuare a delinquere“. Contraria Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino che ribatte: “Anziché debellare quel fenomeno vergognoso si inaspriscono le pene“.
Qui il commento di Rita Bernardini
Chi si ricorda di Amra, la ragazza rom ventiquattrenne che il 31 agosto di due anni fa partorì sua figlia in una cella dell’infermeria di Rebibbia femminile? L’aiutò un’altra detenuta perché a quell’ora c’era solo un’assistente donna della polizia penitenziaria. Amra raccontava al quotidiano Il Dubbio: “Ho messo la mano sotto e ho sentito la testa, avevo paura cadesse per terra e mi sono sdraiata. È nata da sola e non piangeva”. È stata la compagna di cella a pulire il viso della bambina dalla placenta a mani nude, consentendo così alla piccola di piangere e respirare. Occorre aver visto, aver compreso, prima di mettere mano ad una legge.
Dove sono finiti i diritti del minore che per la Consulta devono essere posti davanti a tutto?
Si dirà che anziché in carcere queste donne incinte andranno negli Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri (ICAM) che però in Italia sono solo quattro. Le donne con il bambino in grembo andranno a finire negli ICAM esistenti di Lauro, Venezia, Milano e Torino, allontanate con il bambino dal proprio luogo di residenza e dalle proprie famiglie. Compiuto il primo anno di età che succederà al bambino? E’ molto probabile che finisca dietro le sbarre di qualcuno di quegli istituti penitenziari che al 31 ottobre scorso ne tenevano incarcerati 23. Eppure, con tutti i governi, di qualsiasi colore, di destra o di sinistra, abbiamo udito scandire la frase “mai-più-bambini-in-carcere!”.
Questo modo di fare le leggi senza pensare alle persone in carne ed ossa è un modo subdolo per non risolvere i problemi, per aggravare quelli già oggi esistenti, per scaricare le decisioni in concreto sui magistrati chiamati a intervenire sui casi concreti. In diretta su tutti i mass media si fa la faccia feroce fingendo di prendere di petto il fenomeno delle madri recidive e rassicurando con un raggiro l’opinione pubblica. Già perché i problemi sociali mai sono stati risolti con le pene, con il carcere, con la disumanità.
Anziché intervenire per debellare quel fenomeno vergognoso dei bambini detenuti con le loro madri, si inasprisce la legge anziché finalmente istituire quelle “case famiglia protette” che consentirebbero un vero percorso di riabilitazione perché madre e figlio si troverebbero in un ambiente e con un personale più consono alle esigenze di risocializzazione della madre e alla crescita senza traumi del bambino, soprattutto sotto il punto di vista affettivo.
Parliamoci chiaro, il provvedimento governativo sembra quasi esclusivamente pensato per qualche centinaio di donne “rom” ed è mortificante il fatto che noi in Italia conosciamo i popoli romanì quasi esclusivamente per i reati che una piccola parte di loro commette, fisiologici in contesti di povertà ed emarginazione sociale. Nulla sappiamo delle radici e delle caratteristiche della loro cultura perché il nostro Paese non ha mai voluto riconoscere i rom, i sinti e i camminanti come una minoranza etnico-linguistica. La loro lingua da noi va via via estinguendosi.
Stiamo attenti, si dimentica facilmente, come in questi giorni ci ha ammonito Liliana Segre per lo sterminio degli ebrei. In molti stentano a ricordare lo sterminio nazista dei rom e dei sinti mentre una democrazia si qualifica proprio per il riconoscimento delle minoranze linguistiche che la Repubblica dovrebbe tutelare con apposite norme (art. 6 Cost.).
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