La possibilità per i Presidenti di regione di fare un terzo mandato consecutivo alla guida della regione viene bruciata nel primo pomeriggio al secondo piano di palazzo Madama dove si riunisce la Commissione Affari costituzionali. Ressa di telecamere e taccuini. Fratelli d’Italia si allea e fa muro con Pd e 5 Stelle contro la Lega che aveva presentato l’emendamento. Finisce 16 voti contrari (alla proposta del Carroccio), quattro contrari (2 Lega e 2 Italia Viva), Gelmini (Azione) non partecipa al voto e le Autonomie si astengono.

Il paradosso è che il presidente Balboni (FdI) non fa neppure in tempo a verbalizzare il voto che il senatore Gasparri (FI), non membro della Commissione ma presente in sostituzione di un collega per gestire la situazione qualora fosse scappata di mano, si para come un furetto davanti alle telecamere a dare la linea: “È finita ancora meglio del previsto: con 16 voti contrari su 22 membri della Commissione, in un clima di sereno confronto, non è stato approvato l’emendamento della Lega. Significativo invece che il Pd abbia votato contro in contrasto con i suoi esponenti del territorio che avevano intimato questa scelta”. Nessuna lacerazione nella maggioranza. “Lacerato invece il centrosinistra”. Eterogenesi dei fini al cubo: sta a vedere che le opposizioni sono partite convinte di spaccare il centrodestra e alla fine finiscono proprio loro con le ossa rotte. Un capolavoro.

Ora, al di là della prontezza con cui Gasparri legge i fatti appena accaduti tentando di distogliere l’attenzione dalla spaccatura nel destra-centro, il voto di ieri – qualcosa che in realtà ha scarsissimo appeal per cittadini – ha tanti significati. Il primo: la Lega resta sola e isolata a portare avanti il tema del terzo mandato. Si ritrova contro, come previsto, Fratelli d’Italia e Forza Italia. La grande unità messa in mostra mercoledì dai tre leader sul palco elettorale di Cagliari va in frantumi alla prova del voto. Non è bastato il breve colloquio nel retropalco di Cagliari tra la premier e il vicepremier. E neppure il gesto distensivo fatto ieri mattina dalla Lega quando in apertura dei lavori di Commissione ha ritirato l’emendamento del terzo mandato relativo ai sindaci (anche per loro il via libera, se hanno i voti, ad andare avanti alla guida della città). Il secondo significato coinvolge e forse travolge Salvini: fonti di maggioranza rassicurano sul fatto che “in realtà la Lega ha fatto quello che aveva promesso ma neppure loro ci credevano. Hanno dato il contentino a Zaia (il governatore del Veneto in scadenza di mandato nel 2025 e, secondo molti, vincitore a mani basse in una nuova elezione), possono dirgli ‘guarda Luca che c’abbiamo provato ma è andata male’ e la colazione va avanti”. Piccolo particolare: Zaia in Veneto guida una lista che ha preso più voti della Lega. Che succede se si arrabbiano?

Il terzo effetto collaterale del voto di ieri travolge il Pd. Che si è spaccato a livello di Direzione e il gruppo ha obbedito al diktat del capogruppo Boccia. Solo che se le divisioni nel centrodestra hanno la consistenza del fastidio di una zanzara vicino all’orecchio, quelle nel centrosinistra rischiano di fare male e molto alla segretaria Schlein. “La segretaria ha preso in gito mezzo partito e Boccia deve smetterla di fare il segretario ombra garante del campo largo con i 5 Stelle”. Urge ricapitolare. Tabulati alla mano, se le opposizioni avessero voluto fare del “male” alla maggioranza, avevano un’occasione d’oro. Forse unica. La Commissione Affari costituzionali conta 22 componenti: sei di Fratelli d’Italia, tre Forza Italia-Udc, tre della Lega, quattro del Pd, 2 Cinque stelle, uno per Verdi e Sinistra, uno per Italia Viva, uno per Azione, uno per le Autonomie. Se Pd, 5 Stelle, Italia viva e Azione e Sinistra avessero votato compatti non per il merito ma per strategia, sommando i tre voti della Lega, avrebbero avuto undici a favore dell’emendamento (Azione non ha votato, le Autonomie di sono astenute).

Al Senato il pareggio è sconfitta, l’emendamento sarebbe passato e oggi avremmo tutti raccontato un’altra storia. Era il suggerimento dato ieri mattina da Faraone e Borghi (Italia viva): “Sul terzo mandato si potrebbe mandare sotto la Meloni. Adesso vediamo cosa fanno le opposizioni. Chi farà la stampella e chi farà sul serio, insomma”. Un invito molto chiaro. A cui il senatore Boccia, capogruppo del Pd, non ha inteso però dare seguito. In mattinata riunisce i gruppi e detta la linea: “Dobbiamo dare idea della compattezza del campo largo con Sinistra e Cinque Stelle e quindi votiamo no”. Qualcuno obietta: “La segretaria lunedì ha dato mandato ad un gruppo di lavoro di decidere cosa fare sul terzo mandato sia per i sindaci che per i governatori ai sindaci. Non ci risulta che il gruppo di lavoro abbia deciso. Perché dovremmo votare no?”. Perché non possiamo votare sì, è la risposta.

Il non-detto che aleggia nella stanza è che altrimenti non ci leviamo più di torno De Luca, Emiliano, Bonaccini, sindaci giunti alla fine del secondo mandato come Ricci, Nardella, De Caro, Gori, amministratori amati e stimati ma ora ingombrati per il Pd a guida Schlein. Gasparri, sempre lui, durante il pomeriggio mette diabolicamente sale sulle ferite: “Ve l’avevo detto io che la notizia non siamo noi ma il Pd che ha tradito i suoi amministratori e i suoi sindaci che chiedono il terzo mandato”. E in effetti tra i dem il malumore è forte, fortissimo. L’area Bonaccini è furiosa. “Ma allora lunedì con la storia del gruppo di lavoro ci hanno preso in giro. Lo hanno fatto solo per evitare che si arrivasse ad un voto in Direzione (riunita lunedì appunto, ndr)”. Si parla di “forte disappunto” per la decisione del gruppo a palazzo Madama e di “impegni traditi”.

Le chat dei sindaci sono in subbuglio: “Non ci sentiamo rappresentati dal nostro partito e abbiamo perso un’occasione per dividere la destra”. In mattinata il senatore Alfieri aveva provato a spostare il gruppo e le opposizioni sull’astensione in modo di lasciare evidente la spaccatura nel centrodestra. Neppure questa linea di compromesso è stata ascoltata.  “Ne discuteremo dopo il voto in Sardegna”, è la promessa minacciosa che arriva dall’area Bonaccini. Maria Elena Boschi (Iv) mette a sua volta sale sulla ferita: “Messo alle strette tra stare con Meloni e Conte o sostenere le richieste di Decaro, Bonaccini e De Luca, il Pd di Elly Schlein sceglie di stare con Fratelli d’Italia e Cinque Stelle. E di rottamare i propri amministratori. Il Pd riformista non esiste più”. Schlein sta giocando d’azzardo. Dipende tutto da come andrà il voto in Sardegna.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.