«È da un anno e mezzo che non ho riscontri. Il Vaticano ha aperto un’inchiesta di cui non so più nulla da quando mi hanno convocato e ascoltato». Non ha filtri Pietro Orlandi. È stato così anche durante l’incontro organizzato da Azione Universitaria presso la facoltà di Giurisprudenza della Sapienza di Roma. In un’aula gremitissima, ha raccontato la storia di sua sorella Emanuela, scomparsa il 22 giugno 1983 in circostanze ancora avvolte dal mistero. All’epoca dei fatti la famiglia viveva in Vaticano, insieme a pochi altri laici. Per Orlandi, il procedimento avviato dal procuratore di giustizia Alessandro Diddi presso la Santa Sede è stato soltanto un atto dovuto: «La serie Netflix Vatican Girl – ha detto – ha girato il mondo, ha fatto sì che tante persone scoprissero la vicenda e mi mostrassero solidarietà. Dopo il clamore mediatico allora il Vaticano è corso ai ripari, una farsa totale insomma».

È tanta l’agonia, Orlandi ha parlato addirittura di tradimento, da parte di persone che per anni hanno fatto parte della sua quotidianità e che lui reputava di casa: «Dopo 40 anni continua ad esserci questa volontà anche da parte del Vaticano che è a conoscenza di molte cose, di ostacolare, di non fare chiarezza ma per quanto possa essere brutta la verità su Emanuela, la dovrebbero tirare fuori». Punta il dito contro l’ex procuratore vaticano Giuseppe Pignatone accusandolo di aver archiviato l’indagine «per volontà e non per incapacità» e non lesina critiche all’allora Pontefice Karol Wojtyla: «Venne a casa nostra e ci disse che si trattava di terrorismo internazionale – ha raccontato – ma il Vaticano ha usato questa storia perché così la vittima è diventato Giovanni Paolo II e di conseguenza il cattivo l’Unione sovietica».
E proprio a proposito della pista internazionale, Pietro ha detto che la Stasi (la polizia segreta tedesca sciolta nel 1990, ndr) avrebbe avuto un ruolo, come confermato da alcune lettere, ma secondo lui lo avrebbe fatto solo per questioni personali. Ha sottolineato come il magistrato Ilario Martella sostenesse la pista del depistaggio. Per il pm, Emanuela sarebbe stata rapita per poi chiedere la liberazione di Ali Agca, che nel 1981 tentò di uccidere Giovanni Paolo II. «Martella – ha aggiunto Orlandi – l’ha sempre pensata così sin da quando aveva in mano l’inchiesta. Quando parli con lui ti convinci che quello che dice sia vero».

Il caso Orlandi è stato tirato in ballo anche nella recente polemica sollevata dalla Chiesa in merito al film Parthenope di Paolo Sorrentino, in cui si è inserito uno degli attori Peppe Lanzetta, il quale ha risposto alle critiche con un lapidario «la Chiesa pensasse a dare le risposte che Pietro Orlandi aspetta da 40 anni». A riguardo lo stesso Orlandi ha affermato: «Ho letto queste dichiarazioni, di fatto Lanzetta dice quello che io penso da sempre».
La fiducia di Pietro, che nonostante tutto lotta anche per dare giustizia alle sue sorelle e a sua madre 95enne, è riposta invece nella procura di Roma e nella commissione parlamentare di inchiesta. Nonostante pare che non siano mancate le pressioni del Vaticano per rallentare o addirittura annullare la formazione di quest’ultima, l’organo ha iniziato a lavorare e lo ha fatto sotto i migliori auspici.  «È stato chiaro sin da subito – ha precisato – che questa non è una questione politica, maggioranza e opposizione si sono messe a disposizione e per un attimo sembrava che tutti i componenti fossero di un unico grande partito. Quella di Emanuela dovrà essere la voce di tante altre famiglie che hanno vissuto il mio stesso incubo».

Della commissione avrebbe dovuto far parte anche il giornalista Andrea Purgatori come consulente esterno: «Era un suo desiderio– ha spiegato Orlandi –, eravamo certi che sarebbe stato coinvolto. Sono convinto che la sua presenza avrebbe dato un grande contributo». E sulle circostanze della morte del giornalista di La7, Orlandi prosegue: «Non voglio pensare nella maniera catastrofica, ma sicuramente la cosa è anomala. Al di là del dolore personale per la perdita di un amico che mi stava aiutando, è assurdo che due luminari della medicina abbiano visualizzato una metastasi al cervello dove non c’era e lo abbiano per questo bombardato con le varie radioterapie. Pare sia questa la causa della sua morte e che l’infezione che aveva poteva essere curata con un antibiotico. Quel tumore ai polmoni sarebbe rimasto, ma Andrea avrebbe potuto vivere anche per altri anni».

Prima di andare via agli oltre mille studenti in sala, tutti attoniti, non ha nascosto l’emozione e ha ammesso che stando tra loro ha sentito che il sacrificio di Emanuela non è stato vano: «Mia sorella aveva quasi la vostra età – ha spiegato – e quando voi mi parlate o mi abbracciate io la sento vicina. Mi fate capire che in voi c’è un forte senso di giustizia anche nei confronti di un qualcosa successo quaranta anni fa. La verità verrà fuori – ha concluso – ma non possiamo rassegnarci, non possiamo abbassare la testa dinanzi a un’ingiustizia».

Giuliano Vacca

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