Procede sia pur lentamente l’esame alla Commissione giustizia della Camera dei progetti di legge per la riforma dell’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati c.d. ostativi, di cui all’articolo 4-bis della legge sull’ordinamento penitenziario, già oggetto di quattro proposte diverse tra loro, poi unite dal Presidente della Commissione Perantoni in un testo unificato: testo che però non sembra aver raccolto un ampio consenso, tanto che gli emendamenti presentati sembrano riflettere o pedissequamente riportare il contenuto delle posizioni già note.

È un vero peccato che il dibattito, che nei verbali pubblicati appare assai povero, non abbia sinora saputo cogliere l’occasione – che pure si presentava al Parlamento – per una rivisitazione critica della legislazione emergenziale, sedimentatasi nell’ultimo trentennio nel testo dell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, alla luce dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021 e delle sentenze della Corte n. 253 del 2019 e della Corte europea Viola c. Italia, sempre del 2019. Ora il tempo stringe, visto che la Consulta ha dato termine al legislatore sino al maggio 2022, ed il rischio è quello di una soluzione (se mai vi sarà) approvata in fretta e furia, poco meditata e perciò suscettibile di una pronuncia di illegittimità costituzionale in tempi che potrebbero anche essere molto rapidi.

I gruppi parlamentari, come risulta evidente dal testo degli emendamenti presentati, sembrano fermi sulle loro precedenti posizioni: Fratelli d’Italia, che he presentato un progetto di legge costituzionale per la riforma dell’art. 27 della Costituzione per contrastare l’ordinanza della Corte, insiste nella tesi, giuridicamente improponibile, secondo la quale spetterebbe all’istante “l’onere della prova degli elementi richiesti per neutralizzare le presunzioni qualificate come ostative alla concessione dei benefici” (così testualmente l’intervento dell’on. Varchi il 28 dicembre): il Movimento 5 stelle, a sua volta, sembra aver mal digerito l’ordinanza della Corte ed insiste nella proposizione di argomenti già considerati nel suo progetto di legge, compresa l’attribuzione della competenza in materia al solo Tribunale di sorveglianza di Roma e l’onere della prova a carico del richiedente. Il Pd sembra ad oggi incerto fra una linea più garantista, rappresentata dalla originaria proposta Bruno Bossio, e preoccupazioni più legate alla salvaguardia delle politiche antimafia seguite sinora, ad oltre un trentennio di distanza dalla introduzione dell’art. 4-bis con il decreto legge 151 del 1991.

Gli unici emendamenti che sembrano in linea con le indicazioni provenienti dalla pronunce delle due corti sembrano quelli Zanettin ed altri, di Forza Italia, che prevedono che i benefici possano essere concessi “sulla base di congrui e specifici elementi di fatto, diversi e ulteriori rispetto alla dichiarazione di dissociazione dalla organizzazione criminale di appartenenza”, lasciando al giudice la valutazione della “attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e l’assenza del pericolo di un loro ripristino”. È stata sinora assente la voce del Governo, che è sì impegnato su molti fronti, ma crediamo non possa tacere su un tema che riguarda anche la responsabilità internazionale dell’Italia nell’adempimento del giudicato della Corte europea del 2019 che ha dichiarato l’incompatibilità dell’attuale disciplina ostativa con la Convenzione europea.

Domani la ministra Cartabia esporrà al Parlamento le Comunicazioni sull’amministrazione della giustizia. Ci auguriamo che in quell’occasione venga detta una parola chiara su un tema tanto importante. Il tempo stringe: le prossime sedute della Commissione sono previste domani e il 20 gennaio, poi arriverà la sosta per l’elezione del Presidente della Repubblica: crediamo che piuttosto che una soluzione frettolosa sia preferibile attendere la decisione della Corte.