A Milano ci si interroga molto sullo stato d’animo della città. Il Corriere ci ha fatto una serie di interviste molto interessante da cui risulta che ai più la città sembra depressa come dopo una sbornia. Una sbornia da Expo, da globalizzazione, da esplosione turistica, da vertiginosa trasformazione edilizia e da crescita delle diseguaglianze sociali, che avrebbe lasciato la città con l’amaro in bocca e il mal di testa di tanti problemi vecchi e nuovi da risolvere. Da qui la necessità di fermarsi e, secondo alcuni, specie a sinistra, dove le illusioni dirigistiche non finiscono mai, di “cambiare modello”.

Ora, i problemi ci sono e sono magari anche più seri di quanto ci si possa immaginare, ma non sono affatto quelli generati dalla sbornia di cui sopra, bensì le conseguenze della lunga e straordinaria fase di trasformazione che Milano ha conosciuto negli ultimi vent’anni. Una vera e propria “metamorfosi” (Giuseppe Berta) che ne ha fatto la capitale italiana della conoscenza e ne ha confermato il ruolo di perno della sempre più vasta area metropolitana che la circonda. Non un semplice “modello” cambiabile a piacimento, dunque, ma una storia. E una storia che è arrivata adesso, a causa delle nuove ed inedite sfide che la città deve affrontare, ad un punto di svolta decisivo. È questo ciò che rende Milano pensierosa, ma non si chiama depressione, si chiama riflessione.

Del resto, parlare di declino non ha senso. Gli indici della crescita, dall’incremento degli abitanti a quello della popolazione studentesca; dalla produzione industriale a quella dei servizi lo confermano. Se poi si considera la produzione di ricchezza nel rapporto popolazione- Pil, Milano, secondo una recente graduatoria dell’Ocse, è quarta al mondo dopo San Francisco, Tokyo e New York. Il tema non è dunque questo, ma altro. Come dice il titolo di un libro che l’Economist ha classificato tra i tredici da leggere nel 2023, viviamo nell’“Era della città”. Il ché significa che le città, e non più le nazioni, sono il motore della moderna economia globale, che è in esse che saranno combattute e vinte (oppure perdute) le principali battaglie per il nostro futuro (transizione ecologica, salute e pandemie, formazione e innovazione, coesione ed equità sociale), che le risposte a queste sfide stanno nel riformare le città e che, se non lo si farà, le città aggraveranno i problemi che abbiamo di fronte.

È su questo che Milano sta riflettendo, e non da oggi. Con Ferruccio de Bortoli e Ferruccio Resta in “Ripartire dalla conoscenza”, scritto nel pieno della pandemia; con Fondazione Fiera Milano e Fondazione Feltrinelli nella raccolta di saggi da loro promossa “La sfida della ricostruzione”; con i seminari del Centro studi grande Milano, con le inchieste del Corriere e, caso unico forse in Italia, con le prolusioni dei Rettori di tutte le Università cittadine. Quando questa riflessione incrocerà la politica, potrà aprirsi finalmente una nuova stagione del riformismo milanese, a partire dalla più urgente e necessaria delle riforme istituzionali: la creazione ex novo, a partire dal basso, in modo incrementale e con continue sperimentazioni fondate sulla pazienza e su prospettive di lungo termine, della città metropolitana. Ossia di una realtà istituzionale che sappia coinvolgere e responsabilizzare imprese, settori della finanza, Ngo, Università, Centri di ricerca, realtà culturali di ogni tipo, tutto ciò che concorre insomma a dare nuova linfa alla società, favorendo un processo decisionale nel quale la collaborazione e la contrattazione tra soggetti di varia natura occupi un posto di rilievo ed in cui la dimensione rappresentativa sia meno rilevante rispetto a quella legata all’esigenza di risolvere i problemi. Che rompa insomma con la logica verticistica e chiusa del nostro sistema amministrativo per dar finalmente vita alla città metropolitana “riformista”.

Piero Borghini

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