Vicepresidente di Azione, deputata e consigliera comunale di Milano, Giulia Pastorella, 38 anni, ha attivato sul suo sito una pagina dedicata al “Dibattito interno ad Azione”. Le abbiamo chiesto un parere sul percorso che i riformisti e liberali possono ricominciare a fare insieme.

Sconfitta di Azione, ma un milione e 700.000 elettori distanti dai due poli ci sono. Così come avevano detto le politiche del 2022, con il 7,8% del terzo polo. Anche tra i giovani sente questa distanza da Schlein e Meloni?
«Credo che i giovani guardino a noi perché non ragionano in modo “bipolare”, sono più aperti e amano l’Europa. Dentro Azione abbiamo diverse decine di giovani attivisti in posizioni di vertice e che collezionano successi elettorali. E ci tengo a sottolineare che ormai non sono più tra quelli (ride). Tuttavia, a queste elezioni gli under 30 non sembrano averci premiato; credo dipenda dal fatto che i nostri partiti sono stati poco vocali su tanti temi importanti, come i diritti civili».

Ecr diventa terzo gruppo in Europa perché Renew arretra. Di chi le responsabilità della sconfitta?
«Di certo non degli elettori, quindi direi che non siamo stati tanto bravi noi a convincerli. Dovremo essere più bravi a capire cosa vuole la gente che non va a votare e a dare soluzioni ai problemi di quella maggioranza che oggi è scettica sul futuro e vota conservatore».

Azione ha scelto di correre da sola o quasi, provando a mettere insieme alcune sigle (tra cui Nos, con una buona prova di Tommasi). Bisognava insistere di più sul terzo polo, sull’unità dei riformisti ?
«Noi abbiamo cercato di proporre un progetto che andasse oltre la scadenza elettorale e che si riconoscesse in RenewEurope. Al contrario, una lista di scopo con dentro forze politiche appartenenti anche ad altri gruppi europei, come il Partito Socialista Italiano, per noi non aveva alcun senso. Ma a quanto pare non eravamo gli unici a pensarlo dato l’esito elettorale».

Guardiamo avanti. Qual è il percorso che vede, adesso?
«Gli elettori sono stati chiari: non c’è spazio per due offerte liberaldemocratiche perché i voti invece che moltiplicarsi, come succede in altri Paesi europei, sono spariti e centinaia di migliaia di persone non sono andate a votare. Ora tutti noi siamo chiamati a costruire un’alternativa liberale partendo dai temi e dalle battaglie di cui ha bisogno il Paese: scuola, sanità ma anche competitività e concorrenza, e diritti, che sono un cardine imprescindibile di qualunque partito si definisca liberale».

I più giovani, in un partito giovane come Azione, possono vedere per Carlo Calenda un ruolo diverso da quello attuale?
«Penso che il 99% degli iscritti e dei dirigenti di Azione – io per prima – si siano avvicinati al partito per le idee e le proposte di Carlo Calenda. Credo non si possa prescindere dalla sua riconoscibilità. Inoltre Carlo, viste la sua competenza e la sua storia, sarà imprescindibile quando – siamo ottimisti, è solo questione di tempo (ride) – andremo al governo. Ciò detto, un partito per crescere ha bisogno di una leadership plurale, capace di dare risalto a diverse battaglie e raccogliere consenso da fette diverse della popolazione».

Azione vuole la costituente «con chi ci sta». Si può guardare, con maggiore ambizione, a una costituente di area, aperta a Italia Viva, al Psi, a +Europa e Radicali italiani?
«Mi sembra che al momento ciascun soggetto stia percorrendo un proprio percorso di democrazia interna. È una fase importante perché prima di confluire in qualcos’altro è necessario aver chiaro chi e cosa si intende rappresentare. Non abbiamo bisogno di un patchwork di partiti con idee diverse».

Insisto. La prospettiva di medio termine può essere quella di un partito unico dei riformisti o un soggetto federato, capace di tenere insieme anime e storie diverse?
«Mi sembrava di aver già risposto (ride). Allora, io non amo la parola riformismo perché ci colloca automaticamente dentro la cornice socialista, e mi pare che a questo elettorato si rivolgano già molti partiti. Dal canto nostro sono convinta che dovremmo invece provare a parlare a quel bacino di elettori (e soprattutto non elettori) liberali che non si sentono rappresentati da un PD chiaramente socialista e da partiti di destra chiaramente conservatori. Dobbiamo chiaramente riuscirci, perché senza di noi almeno due milioni di italiani resteranno senza rappresentanza».

Occorre in prospettiva un federatore esterno, un arbitro di grande esperienza o al contrario un front man/woman nativo di questo soggetto?
«Invece di chiederci ‘Chi’, chiediamoci prima ‘Cosa’. Definiamo il perimetro che vogliamo rappresentare e poi discutiamo di chi meglio incarna davvero i valori in cui ci riconosciamo e che sia capace di portare al voto quell’elettorato che non va a votare o che non ci riconosce più la credibilità che ci riconosceva due anni fa».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.