Euro big bang dei sovranisti. Per dipanare la matassa del groviglio in cui si trovano Lega e Fratelli d’Italia in vista del voto di giugno per il rinnovo del Parlamento europeo bisogna partire da due eventi di pochi giorni fa. Il partito della premier Giorgia Meloni, dal 20 al 22 marzo, ha riunito il gruppo dei conservatori a Subiaco, paese di San Benedetto ma anche del ministro Francesco Lollobrigida, cognato e fedelissimo della presidente del consiglio. La Lega, invece, agli studios sulla Via Tiburtina, a Roma, sabato ha chiamato a raccolta gli alleati di Identità e Democrazia. Ciò che emerge dal weekend lungo dei sovranisti europei è uno scenario di caos.

L’attacco di Le Pen

Un panorama dissestato, che rischia di mettere a repentaglio anche la stabilità del governo di centrodestra da qui ai prossimi mesi. Se sulle difficoltà di Salvini si stanno scrivendo fiumi di inchiostro, non bisogna dimenticare le asperità che dovrà affrontare Meloni. Che non a caso, durante l’adunata romana dei sovranisti, è stata attaccata frontalmente da Marine Le Pen, leader del Rassemblement National francese, in un videomessaggio di fuoco inviato alla kermesse salviniana. “Signora Presidente – ha incalzato Le Pen rivolgendosi a Meloni – sosterrete von der Leyen? Io credo di sì”. Poi l’affondo e l’assist a Salvini: “Così si contribuirà ad aggravare le politiche di cui tanto soffrono i popoli d’Europa. Unico che si opporrà a von der Leyen a destra sarà Matteo Salvini”. Un modo per pressare la premier e il suo gruppo dei conservatori europei a non cedere alle sirene di quello che il segretario della Lega chiama “l’inciucio” tra Popolari, liberali e socialisti per la guida della nuova commissione Ue.

Le risposta di Meloni

Il problema è che Ecr (il partito di Meloni a Bruxelles) è diviso al suo interno sul futuro assetto del governo dell’Europa. Meloni traccheggia, sta alla finestra. Poi decide di rispondere a Le Pen e a Salvini da Potenza, dove si trova per la firma del Patto di Coesione con la Regione Basilicata. “Il tema non è il presidente della Commissione europea, il tema è la maggioranza che sostiene il presidente della Commissione perché è quella maggioranza che decide le politiche che si fanno in Europa”, replica la leader di Fdi. E ancora: “Tutti sanno qual è la strategia che ho in Europa e do per scontata che sia condivisa da tutte le forze di maggioranza, quella di portare una maggioranza di centrodestra anche in Europa”. Quindi ribadisce: “Tutti sanno che non governerò mai con la sinistra”. Infine quella che sembra una stoccata ai “cugini” sovranisti di Id: “È un errore far prevalere la campagna elettorale rispetto all’ipotesi di divisione del centrodestra, è l’unico favore che si può fare veramente alla sinistra”. Prima di farsi capofila di chi vuole impostare una maggioranza di centrodestra in Europa, Meloni dovrebbe risolvere i problemi all’interno dei conservatori. Fratture che si sono viste tutte all’incontro di Ecr a Subiaco.

Le posizioni

Gli spagnoli di Vox, alleati della premier, hanno ribadito che loro non appoggeranno mai von der Leyen, neppure con una ipotetica maggioranza senza i socialisti. Ma soprattutto c’è il grande macigno della guerra in Ucraina. I polacchi del Pis non vogliono il primo ministro Viktor Orban tra i conservatori per via delle sue posizioni troppo vicine a quelle di Vladimir Putin. Ma anche i francesi di Reconquete, partito di Eric Zemmour, a Subiaco hanno voluto marcare le differenze con Rn della Le Pen: “Noi condanniamo senza riserve il comportamento della Russia sull’Ucraina”. Come comporre il puzzle? Difficile. Perciò, al netto delle dichiarazioni di Meloni, sta crescendo di nuovo l’ipotesi di un’uscita da Ecr del capo del governo italiano. Il sogno è l’ingresso nel Ppe dopo le elezioni europee. A fare da facilitatore per il passaggio tra i popolari dovrebbe essere Antonio Tajani, ministro degli Esteri, vicepremier, leader di Forza Italia. Ma soprattutto esponente di peso del Ppe. I segnali di apertura degli azzurri a Fdi sono ormai quotidiani. Al momento si tratta di suggestioni e bisognerà prima aspettare il verdetto delle urne europee.

Il restyling di FdI

Un percorso che sarà lungo e dovrà passare necessariamente per un restyling della simbologia di FdI. L’addio alla vecchia fiamma del Msi è la precondizione per lo sdoganamento di Meloni. Insomma, i giochi sono aperti e la premier punta sul suo posizionamento filo-Nato e pro-Ucraina per accreditarsi.
Un tema campale, su cui i nodi sono destinati a venire al pettine. E qui arriviamo alla Lega di Salvini. A Roma sabato il leader leghista ha tuonato contro il presidente francese Emmanuel Macron, definito “un pericoloso guerrafondaio” per non avere escluso l’ipotesi di inviare truppe in Ucraina. Risponde a stretto giro il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, in ascesa nel Carroccio: “Macron non è un pericoloso guerrafondaio”. Arriva il controcanto a Salvini da parte di Carlo Fidanza, capodelegazione di Fdi a Bruxelles. “Da Salvini sono arrivati messaggi negativi”, spiega Fidanza in un’intervista a La Stampa. Poi l’avvertimento: “Così si fa male al governo”. Il meloniano prende tempo anche su von der Leyen: “È presto per dire se la voteremo”. Su Macron ribatte a Salvini anche Tajani: “Macron guerrafondaio? Non è il mio linguaggio”.

Radicalizzazione obbligata

Il leader di Fi ribadisce: “Non faccio polemiche, noi non andiamo né con Le Pen né con Afd”. Dissidi che si palesano a pochi giorni dalla sparata di Salvini sulle elezioni in Russia: “Quando un popolo vota ha sempre ragione”. Parole a cui sono seguiti gli imbarazzi di Meloni e la plateale presa di distanza di Tajani. E c’è da scommettere che il segretario della Lega, almeno fino al voto di giugno, marcherà sempre di più le differenze con la postura euro-atlantica degli alleati di governo. Una radicalizzazione obbligata, quella di Salvini. Che vuole occupare uno spazio a destra della destra di Meloni. Anche perché la Lega vede scendere le sue quotazioni e il suo peso all’interno dei sovranisti di Identità e Democrazia. Agli studios della Tiburtina, oltre ai governatori Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana, non si sono presentati diversi big della galassia della destra radicale europea. Le Pen si è limitata a un videomessaggio, mentre erano assenti gli esponenti della tedesca Afd e l’olandese Geert Wilders, leader del Partito della Libertà. Anche in Id temono il flop della Lega alle prossime elezioni europee del 9 giugno.