“Fare il mio lavoro nella mia città, Napoli, per me è davvero un gran traguardo”, dice Velia Siciliano, con gli occhi che le brillano di emozione. Classe 1983, è una scienziata che ha deciso di portare avanti al sua ricerca per la lotta ai tumori a Napoli, la città dove è nata e cresciuta e da dove è iniziata la sua storia di successo nella ricerca. “Essere napoletana mi ha aiutata nel superare il gender gap – dice sorridendo – Essere donna nel campo della ricerca può essere complicato, ci sono disparità con ambienti spesso molto maschili. La napoletanità ti da una carica in più perché cerchi di non farti fregare, punti all’obiettivo, lo fai presente e lo fai in maniera simpatica”.

La sua storia inizia da Napoli dove si Laurea in Biotecnologie per la Salute e in Biotecnologie Mediche alla Federico II. Poi ha svolto un Dottorato di Ricerca in Genetica Umana presso il Telethon Institute of Genetics and Medicine, Napoli, Italia. Nel 2012 si trasferisce a Boston nel dipartimento di Bioingegneria e al centro di Biologia Sintetica del MIT. Nel 2015 in seguito alla vincita di una borsa di studio per giovani ricercatori indipendenti conferita dall’università Imperial College London, Velia si sposta a Londra dove inizia una linea di ricerca indipendente nel dipartimento di medicina.

A settembre 2017 Velia viene reclutata dall’Istituto Italiano di Tecnologia-IIT con il programma Tenure Track dopo un’iniziale valutazione da parte di una commissione scientifica internazionale. In IIT Velia è a capo della linea di ricerca Synthetic and Systems Biology for Biomedicine mirata allo sviluppo di nuove terapie antitumorali e antivirali basate sulla modifica delle cellule immunitarie come le cellule T, attraverso la biologia sintetica. Contemporaneamente Velia mantiene una posizione di ricercatrice onoraria all’Imperial College di Londra che le consente di svolgere le attività di ricerca iniziate a Londra.

“Nel mio gruppo lavoriamo su sistemi che modificano le cellule del sistema immunitario per renderle più aggressive contro i tumori solidi – spiega Velia – Abbiamo sviluppato le tecnologie necessarie per modificare geneticamente i linfociti T che sono queste cellule che riconoscono infezioni e tumori e li aggrediscono. Siamo sviluppando dei sistemi che aiutano a potenziarle. Nei tumori o anche nelle infezioni croniche le nostre cellule si stancano, diventano esauste. Con un progetto finanziato dell’Unione Europea, cerchiamo di capire quali sono i meccanismi alla base di questa disfunzione e utilizziamo questa informazione per migliorarle”.

Velia è anche membro della Global Young Academy of Science dal 2018, ed è stata riconosciuta come una dei 10 ricercatori più promettenti under 40 in Italia da Fortune e una della 1000 donne con più impatto in Italia per scienza e innovazione e nel 2021 è stata inserita tra le Insprinig Fifty 2021, le 50 italiane maggiormente in grado di ispirare giovani donne e uomini nel mondo della tecnologia. Velia Siciliano ha pubblicato in riviste di alto profilo scientifico come Nature Communications e Nature Biotechnology. È co-inventore di 1 brevetto (MIT), è stata relatrice in 13 conferenze ed è membro del comitato scientifico per la scuola estiva di Synthetic and Systems Biology, per il Mammalian Syntehtic bIology workshop, ed è chair della conferenza di Cell Therapies + Bioengineering. La lista dei premi che ha vinto negli ultimi anni è lunghissima. Tra questi il prestigioso Premio Giovani Innovatori MIT Italia e il Premio Galilei.

Velia ha esperienza di vita e ricerca all’estero e si è fatta un’idea del perché tanti cervelli promettenti preferiscono andare altrove. “C’è un primo livello sistematico che è l’investimento dello Stato fa nella ricerca. Lo abbiamo visto con il Covid, abbiamo capito quanto la ricerca sia essenziale per sviluppare delle profilassi per i vaccini, delle cure e anche quanto la cooperazione aiuti a farlo in tempi anche molto brevi. Poi c’è l’attenzione che l’Università deve avere nel rinnovarsi sempre. Al di là di corsi di formazione universitaria che consentono basi molto solide che sono comuni a tutti i tipi diversi di ricerca, anche andare a guardare con un occhio molto critico a dove il mondo sta andando, come si sta muovendo, quali sono le tecnologie che si stanno sviluppando e secondo me su questo c’è ancora tanta strada da fare”.

“È su questo – continua Velia – che le Università italiane dovrebbero investire veramente tanto. Dovrebbero fare una sorta di scouting anche nel mercato perché la nostra ricerca ha un impatto anche economico quindi sarebbe utile per l’Università capire le potenzialità. La Federico II nell’ambito dell’ingegneria ha fatto nascere un ecosistema molto florido anche di startup. Nelle ricerca biomedica dovremmo tendere a questo stesso virtuosismo. Infine c’è un problema più locale: le città dovrebbero iniziare ad adeguarsi realmente con dele infrastrutture a supporto ad essere internazionali. Noi abbiamo bisogno di attirare non solo gli italiani che sono rientrati man anche gli stranieri che vengano a lavorare in Italia come succede in tutte le nazioni che investono nella ricerca. Partendo da un’infrastruttura di trasporto pubblico a dei punti di ritrovo a educare la popolazione a parlare una lingua che sia diversa dall’italiano, sarebbe molto utile. Gli stranieri soffrono anche il sentirsi un po’ isolati in contesti in cui non possono parlare una lingua comune. L’attenzione non deve essere volta solo al turismo ma anche a creare un’ambiente che sia vivibile per tutti. Queste sono le difficoltà che io ho incontrato cercando di mettere su un gruppo di ricerca internazionale con persone che vengono da qualsiasi nazione. Qui abbiamo brasiliani, spagnoli, russi. L’internazionalità è un punto fondamentale nella ricerca e le città devono sostenerla”.

Avatar photo

Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.