La luna madreperlacea bacia d’argento il mare, nell’esatto punto dove la antica tonnara specchiata tra picchi di roccia, sabbia bianchissima e vegetazione inerpicata su cigli e camminamenti, si apre in uno slargo a falce. Notte di Calabria. Palmi. Ma questa non è storia naturalistica di una bellezza. È piuttosto un orrore, un orrore fondo, insondabile, inesprimibile. È il 22 febbraio del 1981. In questa data scompare, in senso letterale, visto che il suo corpo non sarebbe mai stato ritrovato, la studentessa fiorentina Rossella Casini. Qui, tra l’aroma della salsedine e il frusciare degli arbusti, è stata violentata, uccisa e fatta a pezzi, secondo il comandamento “fate a pezzi la straniera”, da un commando della ‘ndrangheta. Fate a pezzi la straniera. Perché aveva duplice colpa, Rossella. Non essere calabrese ma soprattutto essere del tutto estranea alla logica perversa e inumana della criminalità organizzata.

In realtà, agli occhi di quegli esseri che non meritano nemmeno di essere definiti demoni, Rossella sconta anche colpe ulteriori. L’amore, principalmente. Rossella infatti, brillante e bella ragazza di borgo La Croce a Firenze, anni prima, nel 1977, ha conosciuto e si è innamorata di un ragazzo, studente calabrese fuorisede che vive in Toscana, nel palazzo dove vive lei con la famiglia. Lui studia economia, lei pedagogia. Rossella ignora che Francesco, questo è il nome del ragazzo, appartiene a una famiglia malavitosa calabrese, coinvolta in una sanguinosa faida con alcuni clan rivali. Lo scopre nel 1979, nella maniera più dolorosa possibile. Il padre del suo compagno viene ammazzato. Un agguato in perfetto stile ‘ndranghetista. Francesco è emotivamente devastato. Lei che si è trovata davanti la snudata fauce d’inferno, la verità di sangue e morte, potrebbe andarsene, tornare in Toscana, abbandonarlo. Ma non lo fa. Per amore.

Gli rimane vicino, cerca di convincerlo a cambiare vita. Ma Francesco è intossicato dal germe del clima ‘ndranghetista. Partecipa a un raid di vendetta, armi in pugno. Finisce male e lui stesso viene colpito alla testa. A questo punto, Rossella persiste, tanto è l’amore che prova per Francesco. Lo fa trasferire in ospedale in Toscana. Qui gli sta vicino, con grande, incandescente affetto. E, con l’aiuto di un suo amico, giovane brigadiere della Polizia di Stato, riesce a convincerlo a chiudere con la vita malavitosa. Francesco diventa un collaboratore di giustizia, rivela fatti ed eventi che la procura fiorentina trasmette in Calabria. Rossella stessa nel 1980 rilascia dichiarazioni ai magistrati. E con questo, Rossella ha a sua insaputa varcato quella invisibile soglia che agli occhi delle belve, parenti del suo compagno, è trasgressione tale da far meritare la condanna a morte. Costringono Francesco a trasferirsi a Torino e a ritrattare tutte le sue dichiarazioni, ma Rossella non demorde e continua a spostarsi tra Toscana e Calabria perché non vuole rinunciare a quell’amore. Non è un capriccio, una maldestra e pericolosa idea di salvazione altrui, ma amore, quella forza primordiale che come scriveva Hölderlin incarna soglia di convergenza di tutto. Quella forza che nessun mafioso potrà mai sentire né provare.

Per amore infranse la regola criminale del silenzio”, recita la targa commemorativa apposta dal Comune di Firenze sul palazzo in cui lei ha vissuto. Colpisce tremendamente oltre alla atrocità della sua fine, al mancato ritrovamento del suo cadavere, fatto a pezzi e gettato verosimilmente in mare, che a decretare nei fatti la sua fine sia stata proprio una donna, la sorella di Francesco, descritta negli atti processuali come la personalità più forte e feroce del suo clan. Francesco è stato risparmiato solo dopo aver assentito a che la sua fidanzata venisse violentata e ammazzata. Parimenti colpisce che il delitto sia rimasto nei fatti senza colpevoli, perché tutti gli imputati sono stati assolti, in un quadro probatorio inquinato da tempo dilatato e clima minaccioso e silente. Rossella aveva 24 anni quando è morta. Nel giugno 2019 è stata insignita, alla memoria, della Medaglia d’oro al merito civile per il suo strenuo, inesausto impegno civile contro il mostro chiamato criminalità organizzata. Un mostro ripugnante che nessun inferno merita di ospitare.