Nonostante la legge sulle Dat e le sentenze della Corte costituzionale, il tema del diritto a morire vede tanto accresciuta la sua centralità quanto latitante (almeno in Italia) lo svolgimento di un approfondito dibattito pubblico. Eppure, nell’ultimo decennio si assiste a uno sviluppo inedito di disegni di legge in tutto il mondo, dal Canada alla Nuova Zelanda, che tentano di regolare eutanasia e suicidio assistito. Crescenti le trattazioni del tema in libri e film (forse, uno dei segni del XXI secolo sta proprio nella messa a nudo della scelta del suicidio).

Il contributo sociale

Le questioni giuridiche rubricate come eticamente sensibili esigono, accanto all’adozione di leggi, una presa di coscienza culturale della società: darsi la morte è uno degli ultimi tabù e, di fronte ai tabù, regole astratte e linguaggio normativo spaventano e allontanano dalla concretissima esperienza umana che vi si agita al di sotto. Qui, il contributo culturale che letteratura e cinema possono dare è enorme. Vivendo l’esperienza di dolore di chi vuol darsi la morte, la morte ci sembra, in qualche misura, più negoziabile e la scelta di abbandonare la vita in libera coscienza, pur sempre misteriosa e anche angosciante, più accettabile socialmente; il processo di empatia conseguente si rivela dotato di un impatto politico formidabile. “Capita che il dolore degli altri non ci riguarda, ma quello di mio figlio era assolutamente mio”: così leggiamo nel romanzo La luce difficile di Tomás González (Medellín, 1950, La Nuova Frontiera, nella traduzione di Lorenzo Ribaldi).

Il protagonista che racconta in prima persona, David, è un anziano signore quasi cieco che, nel presente narrativo, vive in una bella casa a La Mesa, circondata da un giardino sul quale volteggiano mirabili avvoltoi e, al tramonto, evanescenti pipistrelli. David, che fu pittore di successo, scrive aiutato da una lente di ingrandimento (mezzo-simbolo della visione dell’autore circa il procedimento della scrittura) di come, molti anni prima, suo figlio maggiore Jacobo, dopo un incidente stradale a New York che lo ha ridotto in sedia a rotelle e a terribili sofferenze fisiche, abbia deciso di darsi la morte medicalmente assistita e sia partito alla volta di Portland accompagnato dal fratello Pablo.

La struttura dei brevissimi capitoli alterna i piani temporali senza transizioni apparenti. Mentre David parla delle sue giornate a La Mesa ritorna di continuo a New York, al tempo, dilatato a dismisura a causa del dolore, in cui lui e la moglie Sara, accompagnati dagli altri personaggi, attendono la notizia della morte di Jacobo in una specie di insostenibile veglia funebre all’incontrario. E nell’attesa David, (incongruamente?), lavora a un suo quadro per riuscire a restituire quella luce difficile che anima la spuma del mare sotto l’elica di un motoscafo, la luce inafferrabile contenuta da un indicibile fondo oscuro. Non una frase di militanza. Non un passaggio sull’oggettiva difficoltà etica della scelta di darsi la morte.

Il luogo comune sgradevole

Nessuna considerazione sui compiti familiari, società, Stato. Semplicemente, “nessuno voleva la morte (…), e la vita si afferra a questo mondo con qualcosa di simile alla follia”. Jacobo si pente mentre attua la decisione? Avrà fatto bene? Avranno fatto male i familiari a non osteggiarlo? Tutto questo, nello sguardo malconcio del vecchio padre che ricorda, non conta: “Per fortuna nessuno disse che la morte era stata la cosa migliore per lui. Era un luogo comune sgradevole, e inoltre nessuno lo sapeva con certezza”. A contare, sempre, sono le ragioni personali della vita cosciente che si intrecciano, a volte, con l’orizzonte della morte nel suo farsi oggetto di decisione, di posizionamento. Esse riguardano il corpo di Jacobo, il tormento delle sue giornate: “il dolore divenne costante e si acuì a tal punto che c’erano giorni – non tutti, per fortuna – in cui dovevamo entrare nella sua stanza con mille precauzioni e parlare con un filo di voce, per evitare che il rumore lo facesse gemere e tremare”.

González ci fa sostare, con serenità addolorata che genera contemporaneamente sofferenza e consolazione nel lettore, in queste stazioni di pena misteriosa. Lì, padre e figlio, madre e figlio, amata e amato, amico e amico, fratello e fratello, sono uno di fronte all’altro e si dicono silenziosamente: vedo tutto il tuo dolore, ogni cosa che accadrà in conseguenza avrà la dignità del suo significato più profondo. Qualcosa di difficile, di incerto, di palpitante. Di tremendamente solitario: com’è della luce difficile della libertà, che orienta il nostro sguardo sulle cose e le parole di questo mondo.