L'intervista
Marco Cappato: “La disobbedienza civile diventi di massa, su eutanasia e cannabis non c’è democrazia”
Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni. Partirei dalla battaglia nel collegio di Monza: sei soddisfatto o ti aspettavi qualcosa di più?
«Si corre per vincere, e ho cercato di fare il possibile perché il collegio diventasse contendibile. Nemmeno sommando i risultati di tutte le opposizioni alle politiche si arrivava vicino al risultato della destra, quindi ho impostato una campagna senza accordi preventivi coi partiti e con solo il mio nome nel simbolo. Siamo arrivati al 40 per cento, in un contesto difficile, basta considerare che il sindaco Pd di Monza ha annunciato di votare scheda bianca, dando il messaggio che un pezzo di partito non puntava su di me. Tutto considerato, è stato un risultato significativo. Se è utile lo vedremo a Monza il 2 dicembre per decidere future iniziative».
Poco più di un anno fa avete raccolto le firme per il referendum su eutanasia legale. Perché a differenza di quanto accaduto con divorzio e aborto, la Consulta non ha consentito la pronuncia popolare su un tema così sentito?
«Uscendo da due anni di Covid senza partecipazione civica politica fisica, il referendum avrebbe potuto rappresentare una scossa per il sistema politico. Non saremmo arrivati secondo me alla caduta di Draghi e al Governo Meloni se ci fosse stato un contributo da parte dei cittadini così importante su temi del genere. Se guardiamo alla storia della giurisprudenza della Consulta questa è progressivamente intervenuta a restringere, contro la Costituzione, gli ambiti di applicabilità del referendum. La Costituzione indica tassativamente le materie che non possono essere sottoposte a referendum e ha creato una giurisprudenza che di fatto consegna a se stessa un arbitrio nella selezione dei referendum, e dove c’è l’arbitrio la scelta diventa politica».
Tutti sanno che eutanasia legale e legalizzazione cannabis avrebbero trainato il quorum anche per i quesiti sulla giustizia.
«Sì. E infatti si potrebbe pensare ancora che oltre alla paura di questi due referendum fossero stati quelli in tema di giustizia a determinare la bocciatura. Ovviamente siamo nel campo delle ipotesi ma io credo vi sia una cosa a monte. Quando sento oggi Giorgia Meloni dire che l’elezione diretta del Presidente del Consiglio serve alla partecipazione dei cittadini, questa partecipazione equivale alla convocazione al gioco dei partiti per una scelta più chiara e leggibile possibile, il che sarebbe anche una buona cosa se ci fossero i contropoteri necessari. Avere un sistema di verticalizzazione del potere dove però il premio di maggioranza e il sistema elettorale annullano la forza dei singoli eletti e del parlamento stesso è certo un modo di far partecipare i cittadini ma in quale dinamica? La dinamica referendaria è invece sul tema, sul confronto».
A proposito di giovani e politica mi ha colpito la grande partecipazione alla raccolta firme.
«È successo qualcosa di incredibile. Noi all’inizio avevamo messo a bilancio risorse per lavoratori interinali per andare in tutte le province e ci siamo accorti subito che non sarebbe servito perché si creavano autonomamente gruppi di ragazzi anche nei centri più piccoli per raccogliere le firme».
Il tema è coinvolgente. Perché allora, nonostante la sentenza della Consulta, il parlamento non fa mezzo passo avanti?
«C’è un problema di democrazia. Quando si hanno sondaggi cosi netti e nonostante questo i vertici dei partiti rimangono fermi, significa che nei partiti c’è un vero potere di blocco dei gruppi clericali e proibizionisti su tanti temi, e che anche senza un consenso vasto nella società riescono almeno a impedire che i partiti scelgano riforme laiche. Nei sondaggi del Gazzettino a Nord est l’80% degli elettori, anche quelli di Lega e FdI, sono favorevoli all’eutanasia. Tu puoi sostenere una linea contro l’80% dei tuoi elettori solo se di quel tema non si parla o si parla male o per slogan».
Qualcuno sta contrapponendo la scelta della regista Barbieri che avete accompagnato in Svizzera con la questione della bambina Indi, che ne pensi?
«Intanto è molto diverso scegliere per se stessi e farlo per qualcun altro, se pur neonato o bambino. Quando la persona adulta lucida e consapevole sceglie per se stessa è un pieno riconoscimento del diritto all’autodeterminazione individuale, poi puoi consentirle o meno di essere aiutata a morire. Quando è in gioco l’interesse di un bambino di pochi mesi è chiaro che qualcun altro deve decidere e che di norma la prima cosa da fare è ascoltare i genitori. Ma questi non sono proprietari della vita del loro figlio, il cui interesse è protetto da alcune regole anche rispetto alla volontà dei genitori».
E infatti il Bambin Gesù ha detto che si poteva limitare solo a cure palliative
«Esatto. Io non potrei nemmeno escludere che avrei reagito come questi genitori, perché poi bisogna trovarcisi in certe situazioni, e la loro lotta è stata quella per la sopravvivenza della loro figlia. La valutazione dei medici, non smentita sul piano tecnico scientifico, è che i danni cerebrali fossero irreversibili e senza speranza. E dunque la formula che nel Regno Unito viene applicata è quella del miglior interesse del minore. Non ho io gli strumenti scientifici per sostenere che tale valutazione fosse infondata e penso che con tutto il dramma e il dolore di una scelta simile si sia presa la decisione più ragionevole. Anche in Italia esistono queste situazioni. Ne ricordo una opposta: il caso del piccolo Marasco in cui i giudici di Foggia tolsero la patria potestà ai genitori che volevano staccare il piccolo dalla macchina, in una condizione di agonia senza prospettiva».
Tu hai accompagnato molte persone in Svizzera. Chiedo all’uomo Cappato, quali i tuoi sentimenti e il tuo stato d’animo?
«La mia piccola esperienza è nulla rispetto a chi tutti i giorni vive nelle terapie intensive o accanto a malati terminali, ed è resa meno drammatica dalla profonda serenità delle persone che ho aiutato e che più di chiunque attorno a loro erano in grado di scherzare, di fare battute, perché vivevano tutto ciò come il momento in cui finalmente potevano sollevarsi da una condizione senza sbocco. Quindi la loro determinazione mi ha aiutato anche e a crescere molto nel rapporto con la morte che tutti sappiamo fa parte della vita ma che tutti rimuoviamo. Dopo l’accompagnamento di Elena e Romano, dopo la bocciatura del referendum, ho chiesto aiuto pubblicamente per non essere io a farlo direttamente, basta con “Cappato li porta in Svizzera”. E quindi oggi si è costituita un’associazione con oltre 35 componenti e le ultime tre persone non sono stato io ad accompagnarle».
Nell’ultimo caso peraltro si sono autodenunciati anche Scalfarotto, Manconi, Magi.
«Sì. Nel caso di Sibilla Barbieri l’accompagnamento è stato fatto da suo figlio Vittorio, e credo sia importante perché è un ragazzo di 25 anni e anche per i rischi sul piano giudiziario, che lo fa per la madre ma anche per la libertà delle altre persone, e con lui è andato Marco Perduca dell’associazione Coscioni. Ci siamo tutti autodenunciati. Temo che sul piano parlamentare non ci sia da aspettarsi nulla di buono, ma noi cerchiamo di seguire questo fenomeno sociale in crescita perché l’esigenza di potere decidere del finale della vita non potrà che aumentare nei prossimi anni. Ecco perché c’è bisogno che anche la disobbedienza civile diventi gradualmente di massa, perché magari con un nuovo pronunciamento della Corte o per attività parlamentare questa enorme realtà finirà per conquistare altri spazi di libertà e di diritto e la disobbedienza civile è al servizio di questo processo».
Però nonostante tutti gli “sforzi” non sei ancora riuscito a farti condannare…
«In realtà, ho avuto un Pm a Massa che ha chiesto 3 anni e mezzo di carcere e poi il giudice ha deciso diversamente. Ma non dimentichiamo che due persone in Italia hanno già ricevuto l’aiuto al suicidio assistito legalmente e alla luce del sole applicando la sentenza Cappato. Quindi le mie assoluzioni hanno consentito l’applicazione legale del suicidio assistito in Italia, esattamente quello che noi chiedevamo. Se l’obiettivo non è farsi arrestare ma conquistare maggiori spazi di libertà un pezzo alla volta, credo che ci stiamo arrivando».
© Riproduzione riservata