Il 27 novembre scorso Jean-Noel Barrot, il Ministro degli Esteri del dimissionario Governo francese, era partito per una missione in Africa Occidentale con l’intenzione di rilanciare i legami storici con Ciad e Senegal; si tratta di due Paesi importanti della regione, dove Parigi è ancora ben radicata, malgrado l’ondata anti-francese che ha colpito il Sahel da oltre quattro anni.

Invece, proprio dopo la sua missione, sono arrivate una dopo l’altra due “pugnalate” alle spalle: appena Barrot è ripartito, i Governi di N’Djamena e Dakar hanno dichiarato pubblicamente di non voler proseguire gli accordi militari e di sicurezza con la Francia, ed hanno richiesto una rapida partenza delle truppe transalpine dalle basi presenti sul loro territorio. Uno scacco diplomatico bello e buono, visto che Parigi non aveva avuto alcun sentore della denuncia degli accordi di sicurezza coi due Paesi, per di più nella circostanza di una visita ufficiale del proprio Ministro degli Esteri. Anche se a prima vista la decisione delle Autorità di Ciad e Senegal sembra analoga a quelle già adottate negli anni scorsi da Niger, Burkina Faso e Mali, le situazioni sono alquanto differenti.

In primo luogo, Ciad e Senegal non hanno (ancora) avviato in parallelo una collaborazione militare con la Russia, come hanno fatto invece i tre Paesi del Sahel prima citati. Inoltre, subito dopo aver diffuso la notizia dello stop alle intese securitarie con Parigi, le Autorità ciadiane e senegalesi si sono affrettate ad aggiungere che intendono mantenere ed accrescere, con nuove modalità, la cooperazione con la Francia di natura non militare. Ciad e Senegal non hanno chiesto peraltro a Parigi di richiamare i suoi due Ambasciatori dalle rispettive capitali. Ed infine, il Senegal non è un Paese golpista retto da una Giunta militare filo-russa, ma uno Stato che mantiene le istituzioni democratiche e costituzionali, ed in cui l’opposizione “sovranista” del Partito Pastef ha ottenuto la maggioranza in Parlamento attraverso regolari elezioni, svoltesi poche settimane orsono.

Pur con questi distinguo, resta il fatto che la Francia ha subìto in Africa Occidentale una nuova “torta in faccia”; e che da circa 8500, i suoi soldati nel continente si sono ridotti in tre anni a meno di 1500, di cui poche centinaia nell’area (in Costa d’Avorio, in Gabon, ed in Camerun, mentre resta solida la collaborazione militare con Gibuti, con una grande base francese colà impiantata). A causa del cinismo che caratterizza oggi la politica internazionale, Parigi negli ultimi anni sul Sahel non ha trovato molta comprensione e solidarietà nei suoi partner europei, da cui sicuramente si attendeva più sostegno in quel quadrante. Germania, Spagna, Italia ed altri Membri Ue, invece che fare fronte comune con una Francia visibilmente in difficoltà in Africa Occidentale, prima hanno preso le distanze da Parigi e dal suo modus operandi in Africa, non risparmiandole diverse critiche; poi hanno ostentato un atteggiamento definito “pragmatico” con i Paesi saheliani, ispirato da un notevole opportunismo, volto a trarre vantaggi bilaterali- c’è da chiedersi quali- dalle difficoltà transalpine.

Eppure, solo pochi anni fa quasi tutti i Paesi occidentali partecipavano agli articolati schemi di cooperazione varati da Parigi nella regione, denominati “Alliance Sahel” e “Coalition pour le Sahel”, volti a mettere sotto un unico ombrello tutte le forme di collaborazione fra l’Occidente e la zona saheliana, e capaci di raggiungere un finanziamento complessivo per l’area pari a circa 25 miliardi di euro. Ed hanno addirittura partecipato, seppur per poche settimane, alla Takouba Task Force, formazione militare occidentale comune a guida francese, per aiutare sul terreno- e gratuitamente, a differenza della successiva collaborazione russa- gli eserciti saheliani contro il terrorismo dilagante all’interno dei loro Stati. Takouba fu poi dissolta proprio a causa dei golpe filo-russi nel Sahel. È necessario che l’Ue ed i suoi Membri si rendano conto che lasciare da sola la Francia con le sue difficoltà in Africa Occidentale ed in Sahel, o addirittura cercare di avvantaggiarsi delle sue sventure in quell’area, non è stato un calcolo molto lungimirante, ma ha solo indebolito la capacità di influenza e di “leverage” occidentale in quei territori.