Dov’è finita la “grandeur”? Qualcuno potrebbe iniziare seriamente a domandarselo, visto che quella Francia considerata come una solida potenza europea e internazionale, stabile e proiettata nel mondo, appare ormai un lontano ricordo. Sicuramente più del Novecento che di questo secolo. La crisi del governo di Michel Barnier, che ieri è andato all’Eliseo rassegnando le dimissioni, è solo l’ultimo esempio. L’esecutivo guidato dall’uomo che susurrava a Nicolas Sarkozy e che poi era stato scelto da Emmanuel Macron per superare il pantano politico di questi ultimi anni, è naufragato dopo essere stato sfiduciato dall’altra metà della Francia, quella della destra e della sinistra radicali. Altro giro, altra corsa. E con un’unica certezza: la crisi di Parigi è molto più profonda di una “semplice” crisi di governo.

Economia e debito pubblico

La fine dell’effimera esperienza Barnier è infatti solo il sintomo di un male profondo. La Francia pensava di avere trovato in Macron l’enfant prodige capace di risollevare le sorti di un Paese che già dava segni di fatica, basti pensare all’esplosione dei “gilet gialli” e alle banlieue in rivolta. E invece, il rampollo della École nationale d’administration si è ritrovato a gestire e a governare una Francia in netta ritirata. Una stagione di crisi cui in parte è certamente responsabile, ma che in parte è anche il frutto dei tempi, di un mondo che cambia e di cui Macron forse solo ora ne prende seriamente atto. L’economia del Paese è solida, sì, ma non come dovrebbe. Il debito pubblico ha ormai superato abbondantemente i tremila miliardi, il deficit cavalca ben oltre la soglia europea, le aziende faticano a investire. E dopo la pandemia, sulle rive della Senna le cose sembrano andare avanti con molte meno certezze. La società è dilaniata, polarizzata, sempre più violenta. Le ultime elezioni hanno dato prova di un malessere generalizzato e spesso non compreso proprio da Macron, accusato di vivere distante dai problemi della gente comune e considerato uno dei presidenti meno popolari della storia della Repubblica. E il caos politico di questi anni è diventato un male endemico che sta corrodendo le istituzioni e anche le regole del gioco di una Quinta Repubblica sempre più al tramonto.

Tutto questo si ripercuote inevitabilmente sullo scenario internazionale. Perché la Francia è nel G7, è una protagonista assoluta dell’Unione europea, di cui è stata il motore per anni insieme alla Germania, è membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è un cardine della Nato, è una potenza nucleare. Ma la sua debolezza, ora, si vede anche in tutti quei settori del mondo in cui prima contava e in cui ora conta sempre meno. Del vecchio impero francese, quello che nel tempo si era trasformato nella grande sfera di influenza di Parigi anche dopo l’indipendenza delle vecchie colonie, non è rimasto quasi nulla. In Francia, la cosiddetta Françafrique è stata ormai sostituita da una miscela di bandiere cinesi, russe e turche. E gli ultimi golpe militari in Sahel sono stati l’immagine più eloquente del tramonto della presenza di Parigi nella sua antica area di riferimento.

Altri attori controllano il gioco

I militari d’Oltralpe sono stati costretti ad abbandonare anche quelle che erano considerate basi inespugnabili e pilastri della sua strategia (il Niger, in primis). In Libia, dove la Francia ha tentato di indicare lei la rotta a seguito della caduta di Muhammar Gheddafi, ormai sono altri gli attori che controllano il gioco. Non va meglio in Medio Oriente, dove le crisi di quello che una volta era anche un luogo d’azione della diplomazia transalpina ora vede quasi la completa assenza dell’Eliseo. In Libano, Macron è voluto entrare a ogni costo nella partita della tregua, ma solo una volta ricevuto il placet (dopo una lunga trattativa) di Benjamin Netanyahu. In Siria, dove le forze armate francesi erano intervenute contro lo Stato islamico negli anni passati, ormai Parigi conta sempre di meno. E per finire, la guerra in Ucraina ha dato forse il colpo finale alle aspirazioni di Macron di avere un ruolo di leadership diplomatico nel Vecchio Continente. Il Formato Normandia (il gruppo composto da Germania, Russia, Ucraina e Francia per risolvere l’allora guerra nel Donbass) non è che un ricordo anche fallimentare. Il presidente francese, che per un certo periodo telefonava continuamente a Vladimir Putin per trovare una soluzione al conflitto, è ormai assente da ogni tavolo. Il dossier, quantomeno per l’Occidente, è completamente in mano agli Stati Uniti. E con la crisi dell’altro motore europeo, cioè Berlino, Parigi non sembra in grado di incidere. E Macron non può fare altro che accettare la ritirata.