Sono trascorsi oramai 14 anni dallo scoppio della crisi europea del debito. Una crisi derivante dallo squilibrio delle bilance dei pagamenti di alcuni Paesi membri (e non dal debito pubblico come erroneamente molti ancora credono) che venne tamponata dal celebre whatever it takes dell’allora presidente della BCE Mario Draghi, ma poi risolta dalle politiche di austerità (adottate in Italia da Mario Monti) tese a comprimere la domanda e riportare la posizione con l’estero in surplus.

Tuttavia il salvataggio in extremis e le cure successive non riuscirono a produrre quei meccanismi strutturali per prevenire o gestire crisi di debito su larga scala, come per esempio la tanto decantata unione fiscale: un obiettivo che sembrava raggiungibile nell’estate del 2012 ma che, come ricorda Wolfgang Schäuble nelle sue memorie, venne lasciata cadere da Angela Merkel per non affrontare l’establishment conservatore all’interno del suo partito. Ennesima riprova che spesso noi italiani molto più europeisti degli altri.

Ora, le recenti dinamiche finanziarie che stanno colpendo la Francia e in particolare l’ampio deficit della bilancia dei pagamenti, fanno tornare alla mente lo spettro della crisi sistemica. Ma, a differenza del 2010, questa volta la soluzione sarà più complessa. La crisi politica francese viene infatti considerata molto più’ preoccupante dal mercato, perché, a differenza di Italia e Germania, la Francia non dispone di meccanismi capaci di autoimporre disciplina fiscale. Con Emmanuel Macron alla guida, Parigi ha spesso ignorato le regole fiscali europee, superando quasi costantemente il limite del 3% di deficit imposto dal Patto di Stabilità e Crescita. Macron ha insistito che la crescita economica sarebbe stata sufficiente a risolvere i problemi fiscali, ma la Francia, dopo anni di moderata crescita, sembra ora soffrire della stessa “malattia tedesca”: stagnazione economica e una crisi nel settore automobilistico, simbolo delle difficoltà industriali del paese.

Se i mercati dovessero continuare spingere al rialzo i rendimenti dei titoli di Stato francesi che intanto hanno superato quelli greci, il rischio di una crisi del debito sarebbe concreto. La BCE potrebbe intervenire con il suo meccanismo di protezione della trasmissione (TPI), ma solo se la Francia rispettasse le condizioni previste, tra cui un percorso di riduzione del deficit su sette anni. Tuttavia, il Parlamento francese potrebbe non accettare un bilancio conforme a tali regole. Un’alternativa sarebbe piegare le regole stesse: i ministri delle finanze della Ue potrebbero dichiarare che la Francia è “conforme” anche quando non lo è. Qualche segnale in tal senso sta già arrivando in realtà se si considera il trattamento di favore che l’Eurotower ha riservato negli ultimi mesi ai titoli di stato francesi, ben diverso da quello riservato nel 2018 all’Italia.

Però è chiaro che formalizzare un simile approccio scatenerebbe tensioni politiche enormi: in Italia naturalmente dopo quello che si è patito a causa della cura Monti. Ma anche e soprattutto in Germania, dove il rispetto della disciplina fiscale è un principio fondamentale. Berlino, che già fatica a trovare risorse per l’Ucraina, non accetterebbe facilmente un salvataggio per la Francia privo di disciplina fiscale.