I fuochi d’artificio si posano e a terra restano le questioni aperte. Quelle vere. O almeno, le più urgenti. Che sono quelle economiche. I soldi in tasca che gli italiani non trovano più. Riforma costituzionale, protocollo antimigranti con l’Albania, operazioni ad alto impatto emotivo ma scarso rendimento pratico. Almeno nell’immediato. Utilissime però a guardare altrove. Armi di distrazione di massa: dal dossier che brucia alla manovra e le nuove regole del Patto di stabilità.

E così ieri i riflettori sono tornati dove sarebbero dovuti restare: a Bruxelles dove i ministri economici si sono riuniti nel tentativo di avere nuove regole fiscali, il nuovo Patto di stabilità, entro la fine dell’anno quando cesserà la sospensione decisa nel 2020 causa Covid.  E a palazzo Madama dove la legge di bilancio ha avviato il suo iter la scorsa settimana con le audizioni tecniche. Comprese quelle del settore sanitario che minaccia lo sciopero nazionale il 5 dicembre per via dei tagli massicci alle pensioni di medici e infermieri. Oltre a tutto il resto che purtroppo sappiamo: carenza di medici, infermieri e posti letto, prestazioni a gettone (persino le sale operatorie) pagate più di un professionista dipendente e liste d’attesa di mesi per le visite specialistiche.

Partiamo dalla riunione dell’Ecofin. I ministri economici dei 27 si sono visti a pranzo per discutere come riformare il Patto di stabilità sulla base di un nuovo compromesso presentato dalla presidenza di turno spagnola. Il tempo stringe perché in assenza di un accordo da gennaio torneranno in vigore le nuove regole fiscali. Il commissario Paolo Gentiloni è sembrato cauto ma ottimista sul raggiungimento di un’intesa entro la fine dell’anno. Dopodiché Paschal Donohoe, il presidente di Ecofin, ha ricordato anche “tra i dossier da definire entro la fine dell’anno c’è anche quello del Mes per cui bisogna assicurarsi che possa fornire liquidità”. Tradotto: l’Italia deve decidersi una volta per tutte a firmarlo perché diversamente il Fondo salva stati non sarà operativo. Dalla riunione è salita una fumata grigia che vede Madrid e Berlino procedere allineate e Roma solo e titubante.

“Penso che stia emergendo un ampio accordo sugli elementi costitutivi del quadro, sui meccanismi che dovrebbero essere istituiti per garantire l’applicazione delle nuove regole e anche sulle garanzie che devono essere integrate nel sistema. Vanno messi a punto i dettagli e la calibrazione. Di sicuro nessun Paese vuole tornare alle vecchie regole e tutti ne chiedono di più semplici”, ha detto la ministra delle Finanze spagnola Nadia Calvino. “La spina dorsale del nuovo quadro – ha aggiunto – sono i percorsi di spesa specifici per Paese a medio termine con una serie di misure di salvaguardia che ovviamente continueranno a garantire l’equilibrio tra l’obiettivo di ridurre il debito e il rapporto deficit/Pil e il sostegno alla crescita, favorendo gli investimenti e le riforme”.

Il governo italiano ha chiesto, come è noto, di scomputare dalla spesa gli investimenti per la difesa, per la transizione ecologica e per il cofinanziamento dei progetti del Pnrr. Non è chiaro cosa sia stato deciso su questo. Fa parte dei “dettagli”. Preoccupa però che ieri pomeriggio fonti del Mef abbiano chiarito che, pur nella volontà di chiudere l’accordo entro la fine dell’anno, “l’Italia non è disposta a firmare un qualsiasi accordo”. Da quanto si apprende, la Germania insiste nel chiedere regole “oggettive” per la riduzione del debito e soglie precise per la riduzione del deficit. Sarebbe dato, ad esempio, “più tempo” per la riduzione del debito. Gli investimenti nella Difesa sarebbero però considerati “un’attenuante” in caso di deficit eccessivo e non sarebbero esclusi del tutto dal conteggio del debito. Insomma, l’intesa corre sull’asse Berlino-Madrid. E Roma è costretta a frenare.

Se le cose rimanessero così, sarebbero guai seri per il governo di Giorgia Meloni. Roba da far saltare i conti di una manovra che ha difficoltà a trovare le coperture. La manovra che doveva essere blindata, è costretta a rifare i conti sul taglio delle pensioni ai medici, sanitari e al pubblico impiego. I sindacati non mollano, le piazze sono convocate il 17 e il 24 novembre e il primo dicembre. A palazzo Chigi si ammette “l’errore di sottovalutazione” e si cercano i soldi per non tagliare le pensioni non solo ai 3.800 medici destinati alla pensione nel 2024 ma anche agli altri 27.700 dipendenti pubblici travolti dallo stesso destino. Se a questo si aggiunge che il Fondo monetario ha attaccato la manovra perché “poco coraggiosa e con zero riforme strutturali per la crescita”, il quadro generale è a tinte assai fosche. E sarebbe tanto più facile parlare di riforme.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.