Esisterebbe, maligna qualcuno, una strategia della ‘decrescita felice’ nel Pd di Elly Schlein. Una dieta ferrea di consensi capace di filtrare dagli elementi sgraditi quell’ossimoro che è il nuovo partito della vecchia sinistra, ripulendolo dalle tossine della vocazione maggioritaria. La missione identitaria non accetta condizioni: si può perfino mettere in conto di perdere, come si attrezza a fare il Nazareno a guida Schlein, purché sia con onore.

“A cercar la bella morte”, cantavano gli ultimi epigoni di Salò, organizzando quella ridotta della Valtellina che ne fu l’ultima espressione. E proprio con questo spirito Schlein indica per nome i martiri e gli eroi della sua era, quella del sacrificio delle urne. I nomi dei candidati, che non vengono più indicati dai cittadini ma dalle segreterie di partito, sono frutto di scambi che avvengono tra Dem e Movimento.

Sara Funaro e Alessandra Todde sono le prime vittime di questa strategia, indicate – la prima a Firenze, la seconda per la Sardegna – non perché fanno sicuramente vincere ma al contrario, per fare la lotta nel fango su un terreno di battaglia scivoloso. E probabilmente perdente. Due donne, per indicare che i Dem a trazione sinistra almeno la lotta al patriarcato devono mostrare di farla sul serio, e soprattutto due donne garanti del patto tra Nazareno e Campo Marzio. Peccato che per candidarle Schlein si sia dovuta rimangiare quelle primarie a cui deve tutto e che tra l’altro sarebbero nello Statuto del Partito Democratico, per quanto come buona prassi e non come obbligo. Tommaso Montanari, che fino a pochi giorni fa era dato come possibile candidato contiano a Sindaco di Firenze (“Ma rimango Rettore fino al 2027”), non l’ha presa benissimo.

Ieri affidava al Fatto una stilettata: “A Firenze è come se Elly Schlein non fosse mai arrivata (…) Forse perché il Pd fiorentino (un partito-sistema con molto da redistribuire) ha saputo cooptare anche gli schleiniani”? La domanda, retorica, fotografa il clima in cui si inquadra una campagna elettorale che non lesinerà sorprese. Certo, Schlein potrebbe trovarsi a fare i conti con una disfatta su ampia scala. Si voterà in Abruzzo, Basilicata, Piemonte e Umbria e Sardegna, e il metodo Schlein, la migliore assicurazione sulla vittoria del centrodestra, fa temere il peggio per i dem. I riformisti nel Pd si sentono stretti. Renato Soru ha già sbattuto la porta, altri potrebbero seguire il suo esempio. Ieri in una intervista radiofonica non l’ha presa alla lontana: “Mi sono candidato perché voglio evitare che vinca il centrodestra e perché la strana alleanza a guida 5Stelle ci avrebbe portato a perdere e a condannarci ad altri 5 anni di destra.

Quella a guida 5Stelle è una forzatura dettata da Roma contro gli interessi in Sardegna, che avrebbe portato a una sconfitta clamorosa”, le parole dell’esponente dem sardo in rotta con il Nazareno. “Noi siamo alternativi a questo tragico governo di destra e siamo alternativi a un disastro diverso che sarebbe potuto capitare con una proposta senza progetto”. Soru ritiene di poter arrivare al 40% alle prossime regionali di febbraio-marzo e di vincere la consultazione: “In Sardegna alle ultime politiche i 5stelle hanno preso il 22%, ora prenderanno il 5%.

In Sardegna il M5S è totalmente frantumato e spaccato. Tanti elettori del Pd sono in fuga, anche se i dirigenti sono sempre ben saldi al loro posto”, ha concluso in un’intervista radiofonica. A sentir parlare Soru, mutando l’accento, sembra di risentire le parole di Vincenzo De Luca, il governatore campano che sulla deriva schleiniana del Pd ha scritto da poco anche un libro.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.