Giovanni Zanier, 15 anni, intorno alle 2 di notte di un sabato sera estivo, stava tornando a casa dalla discoteca a Porcia, in provincia di Pordenone. Era in bici lungo la strada quando all’improvviso un’auto è arrivata a tutta velocità e lo ha travolto uccidendolo. Al volante c’era una soldatessa americana di 20 anni, da qualche mese alla vicina base Usaf di Aviano. Le analisi hanno rivelato che nel suo sangue c’era alcol quattro volte il limite consentito per mettersi al volante. Per Barbara Scandella, la mamma di Giovanni, al dolore si unisce la rabbia: “Non si perdona una cosa così. Tanto meno per come è accaduta. Una testimone che guidava dietro la donna ha detto di averla vista zigzagare e ora sappiamo che si era messa al volante in quello stato. Mio figlio era pieno di amici e adesso lo stanno piangendo tutti”, ha detto la mamma in un’intervista a Repubblica.

La soldatessa potrebbe essere processata negli Stati Uniti come prevede la convenzione di Londra. Ma la mamma non ci sta e chiede giustizia in Italia. “Voglio giustizia e la voglio qui, in Italia. Poi, se riterranno, la processino anche nel suo Paese. So che niente mi restituirà mio figlio. Ma chi lo ha ucciso deve essere condannato dal nostro tribunale e scontare per intero la pena. Anche se devo ammettere che, con quello che si sente, non ho grande fiducia”, ha detto. In giornata è prevista l’udienza di convalida per la soldatessa che è nella vicina base Usaf di Aviano, dove si trova sottoposta agli arresti domiciliari per omicidio stradale.

Barbara Scandella è addolorata e indignata. “Non ho alcuna fiducia in un processo vero perché la donna che ha ucciso mio figlio è una militare della base Usaf e quindi l’America farà di tutto per proteggerla, nonostante l’evidenza del reato commesso”, spiega al Corriere della Sera, a cui chiarisce ancora: “La verità è che in queste zone gli americani fanno quello che vogliono e restano impuniti. Temo sarà così anche questa volta. È una vergogna, un’ingiustizia…”.

La mamma ha raccontato che sabato sera intorno alle 23.30 aveva accompagnato il figlio in discoteca. Giovanni era un ragazzino molto prudente e attento. “Per il rientro aveva detto che si sarebbe arrangiato – ha continuato, nell’intervista a Repubblica – Era in compagnia di altri amici, ma come tante altre volte sapeva che avrebbe potuto chiamarmi a qualsiasi ora della notte. Io c’ero sempre per lui. Sabato sera, però, avevano deciso di spostarsi a casa di un altro ragazzo e si erano incamminati a piedi”.

Giovanni e i suoi amici percorrevano la strada lungo la pista ciclabile. La luce in strada era poca per via delle politiche di risparmio energetico. “Forse, con un po’ di luce, Giovanni avrebbe potuto accorgersene e spostarsi. Ma il problema è che l’auto correva: le indagini hanno accertato che all’approssimarsi della rotatoria ha aumentato la velocità, perdendo il controllo e finendo addosso a mio figlio. Avrebbe potuto frenare…”, continua la mamma.

Dopo il terribile impatto i soccorsi hanno portato Giovanni in ospedale. La mamma racconta di aver saputo dell’incidente del figlio solo intorno alle 4 del mattino da un’amica. Sua nipote aveva visto le ambulanze e gli amici del figlio piangere e aveva capito che era successo qualcosa di brutto. Così si è precipitata in pronto soccorso. È lì che i sanitari le hanno detto che il figlio era morto. Da quel momento per lei non c’è più pace. “Le lacrime non smettono di uscirmi dagli occhi. Mi manca tanto. Dalla notte scorsa, sono riuscita a riposare soltanto tre ore, ma svegliandomi di continuo: lo cercavo, aspettandomi di vederlo arrivare da un momento all’altro”, ha detto a Repubblica. Se potesse parlargli un’ultima volta gli direbbe “Ti amo. Ce lo dicevamo spesso. Era un ragazzo tanto dolce”.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.