L’avvento del Governo Meloni ha riportato in auge il dibattito sugli anni di piombo, un capitolo di storia con cui il Paese non ha fatto ancora e fino in fondo i conti.
Polemiche e accuse incrociate hanno ridotto però a macchiettismo quello che poteva essere un sano dibattito sugli estremismi che hanno attraversato il Paese, anziché cercare di aprire un confronto abbandonando lo scontro ideologico.
Di recente, in un’intervista rilasciata a Libero, il Viceministro Galeazzo Bignami ha parlato di un episodio terrificante della sua adolescenza: a 14 anni, ha raccontato l’esponente di FdI, un gruppo di ragazzi della Fgci entrò nella sua classe, chiedendo chi fosse Bignami. Lui alzò la mano e il risultato fu che venne messo al guinzaglio e trascinato a quattro zampe con un cartello al collo con su scritto “fascista”.
Gli anni di piombo erano finiti, ma il clima nella rossa Bologna a quanto pare non era cambiato.
Prevengo già le obiezioni: Bignami è quello che si è travestito da nazista per Carnevale, non importa se si è scusato. Contro obiezione: chi ha a cuore la democrazia, non approva la violenza neppure contro chi abbraccia con uno “scherzo” di pessimo gusto ideologie terribili.

Torniamo quindi al racconto del sottosegretario. O meglio, alla reazione. Quella del deputato del Pd De Maria, il quale sostiene che si sarebbe trattato di un fatto isolato e personale perché la FGCI non sarebbe stata protagonista di episodi di violenza politica in quegli anni.
Ebbene, la pratica di appendere al collo il cartello con scritto fascista era largamente usata dai giovani di estrema sinistra negli anni di piombo. A volte gli scontri si limitavano (da ambo le parti) a umiliazioni e botte. Altre volte, ci scappava il morto. Fu quella la sorte di Sergio Ramelli, che prima di essere massacrato a colpi di chiave inglese fu oggetto proprio di questa democratica usanza.
Ecco, che siano stati o meno i giovani comunisti o i giovani missini o esponenti di gruppi autonomi che nulla avevano a che fare con Pci e Msi a compiere atti di violenza in quegli anni, De Maria non ha centrato il punto: quel racconto di Bignami avrebbe potuto essere l’occasione infatti per riaprire un confronto da ambo le parti su quella stagione terribile.

Ci ha provato anni fa da sinistra Luca Telese, con il suo bellissimo “Cuori neri”, un’antologia delle storie dei ragazzi di destra morti negli anni di piombo.
Ci ha provato qualche mese fa la sottosegretaria Paola Frassinetti che si è recata a Milano a commemorare Fausto e Iaio, i due giovani di sinistra uccisi dai fascisti durante gli anni di piombo. Lo ha fatto Beppe Sala, ricordando Sergio Ramelli.
Entrambi sono stati oggetto di attacchi scomposti.
E di poca solidarietà.
Sembra quasi che la pacificazione in questo Paese non sia possibile: da un lato perché mantenere alto il livello dello scontro dà argomenti a chi argomenti non ne ha, dall’altro perché nel retro pensiero mai confessato di chi quegli anni li ha vissuti e se li è lasciati alle spalle, c’è talvolta un giustificazionismo alla violenza e una visione romantica degli estremismi o ancora perché, come nel caso Di Maria, si pensa ancora a difendere quella che fu la propria parte anziché provare a instaurare un dialogo.