Nel corso di un incontro sul tema della presunzione d’innocenza e in particolare sull’adesione dell’Italia alla recente direttiva europea, organizzato dalla Camera penale di Santa Maria Capua Vetere, il dibattito ha toccato pure la separazione delle carriere. Nel mio intervento ho sostenuto, tra l’altro, che la madre di tutte le riforme, che interesseranno il processo penale, dovrà essere l’approvazione in Parlamento della proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare promossa dalle Camere penali, relativa alla separazione delle carriere dei magistrati, che ha ottenuto la firma di 75mila cittadini.

Nel rapporto tra giustizia e informazione, infatti, direttamente coinvolto dal principio di presunzione d’innocenza, è fondamentale che il ruolo della fonte venga compreso dai destinatari delle notizie. La cronaca giudiziaria, con pochissime eccezioni, presenta l’indagato come già colpevole e talvolta l’affermazione è corredata da indizi indicati dalla Procura, a volte con video-riprese con tanto di logo della polizia giudiziaria operante, ormai specializzata in perfette regie di azione. Le conferenze, come i comunicati, non hanno e non possono avere contraddittorio perché gli atti non sono conosciuti dall’interessato che, del tutto indifeso, vede la sua vita sconvolta negli affetti, nel lavoro e spesso irrimediabilmente nella salute. Eppure, i dati ci dicono che, nel 2020, in Italia i casi d’ingiusta detenzione sono stati 750, per una spesa complessiva, in indennizzi, pari a circa 37 milioni di euro. Napoli, con 101 casi, è il distretto con il maggior numero di risarciti.

La separazione delle carriere, oltre al principale pregio di garantire un giudice terzo, avrà anche un’importante ricaduta sull’informazione giudiziaria. Una volta entrata in vigore la legge, col tempo si comprenderà che il procuratore che ha tenuto la conferenza o diramato il comunicato sta illustrando l’attività svolta che dovrà poi trovare conferma innanzi al giudice, componente di un diverso un settore della giustizia, quello demandato a stabilire la verità. Finalmente sarà chiaro all’opinione pubblica che la notizia proviene dall’accusa e che non è accertato che l’interessato sia colpevole, ma è solo – come previsto dalla legge – indagato. L’informazione data, pertanto, non è una sentenza. L’attenzione dell’opinione pubblica si sposterà naturalmente e correttamente verso il processo che verrà seguito con maggiore attenzione dagli stessi cronisti.

L’importanza della separazione delle carriere, anche per il principio di presunzione d’innocenza, non è stata ritenuta conferente dal magistrato presente al dibattito che, nell’esprimere il suo disaccordo sulla battaglia portata avanti dall’Ucpi, ha specificato che la riforma farebbe perdere autorevolezza alle Procure perché quanto riferito nelle conferenze o nei comunicati stampa sarebbe ritenuta una verità parziale. Ed è qui il punto, infatti! Fermo restando che la fonte della notizia non perderebbe alcuna autorevolezza, in quanto la comunicazione proviene da chi ha coordinato le indagini, quindi l’unico che ha autorità per riferire, è evidente che la sua non può che essere proprio una “verità parziale”, perché proveniente da una parte, in assenza di qualsiasi contraddittorio. Ed è importante che ciò sia ben chiaro a chi diffonderà la notizia e soprattutto a chi l’apprenderà. Nel difficile equilibrio tra presunzione d’innocenza e diritto all’informazione è proprio questa “verità parziale” la svolta culturale da promuovere.