Il processo e la gogna mediatica, la presunzione di innocenza e i tempi della giustizia. Sono tutti elementi di un complesso ingranaggio che si mette in moto ogni volta che c’è un’inchiesta penale, o meglio ogni volta che c’è un’inchiesta penale che sale alla ribalta delle cronache e all’attenzione dell’opinione pubblica perché c’è un indagato o un fatto su si scatena la curiosità collettiva, una curiosità che spesso porta a superare ogni barriera di garantismo e garanzie, ogni limite del segreto istruttorio. E si arriva così alla spettacolarizzazione del processo per cui – e ormai non è una novità – il processo mediatico giunge a sentenza prima ancora di quello reale celebrato nelle aule di tribunale.

«Oggi chi è sotto processo corre il rischio di non essere più un uomo. Il cittadino che riceve un’informazione di garanzia, infatti, viene mediaticamente colpito nell’immagine, nella persona, negli affetti familiari, nella posizione lavorativa, nella dignità. E questa pena sociale è spesso molto più pesante rispetto a quella derivante dal fatto reato». Francesco Paolo Sisto, sottosegretario alla Giustizia, lo ribadisce nel corso di una lectio magistralis all’Università della Campania Luigi Vanvitelli. «Non si può ragionare di rieducazione del reo se non si interviene in modo deciso sul processo mediatico perché oggi la sentenza arriva comunque troppo tardi, quando ormai è stata dispiegata tutta la forza spietata della condanna pubblica», sottolinea centrando uno dei punti chiave di questo delicato tema. «L’obiettivo – aggiunge – è dunque quello di orientare nuovamente il procedimento giudiziario in senso costituzionalmente ortodosso, a cominciare dallo stop a quelle conferenze stampa post arresti che sono ormai diventate vere e proprie feste cautelari, passando dalla inibizione alla pubblicazione di foto e nomi dei magistrati impegnati nei processi, fino alla effettiva garanzia di un doveroso diritto all’oblio», conclude.

Sisto precisa che uno dei suoi impegni proprietari è proprio quello finalizzato a frenare il dilagare dei processi mediatici e, appellandosi anche all’aiuto dell’avvocatura per riportare la giustizia nelle aule di tribunale, ribadisce: «Bisogna restituire il processo alle aule di tribunale, a chi, nella giurisdizione, determina le sorti del processo». Per comprendere di cosa si parla, basta pensare che nell’ultimo report annuale dell’associazione Antigone è emerso che, su un campione di più di 7mila articoli di stampa, «in oltre il 60% dei casi si è riscontrato un approccio colpevolista alle vicende giudiziarie o un atteggiamento acritico rispetto alle ipotesi dell’accusa». La percentuale è stata stilata all’esito di una ricerca condotta dall’Unione delle Camere Penali. «A farne le spese non sono solo le garanzie per le persone coinvolte nei procedimenti penali – si legge nel rapporto di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie del sistema penale – ma anche la serenità di giudizio del magistrato, la sua effettiva imparzialità e la necessaria riservatezza delle indagini».

La questione è delicata anche perché è difficile bilanciare il diritto alla privacy e il diritto alla presunzione di innocenza di chi finisce al centro di una vicenda giudiziaria con il diritto dei cittadini di conoscere le modalità con cui viene gestita la giustizia e con il diritto di cronaca dei giornalisti. Inoltre, c’è un forte sbilanciamento del processo per cui si dà più peso e più attenzione mediatica alla fase preliminare delle indagini che alla fase dibattimentale del processo. E il fatto che i processi arrivino a sentenza molti anni, a volta anche dieci anni, dopo la fase dell’inchiesta non aiuta, anzi cronicizza questo sbilanciamento per cui quando il processo arriva a conclusione, spesso non interessa più a nessuno se non ai diretti interessati. Sicché l’indagato o l’imputato finisce per essere ricordato per i sospetti che avevano inizialmente dato impulso all’indagine e non per l’assoluzione o il proscioglimento che lo hanno scagionato da ogni accusa.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).