Fu l’incanto dell’Occidente mentre l’Oriente lo ha sempre ignorato e spesso disprezzato. Da ieri tutta la stampa e i media dell’Europa occidentale e dell’America di lingua inglese celebrano la morte dell’ultimo Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Michail Gorbaciov, perché con lui muore un sogno occidentale. Ero a Mosca pochi giorni prima che un piccolo golpe ordito dal Kgb lo mettesse fuori circolazione per qualche giorno per poi restituirlo al mondo denudato dei magici poteri con cui era venuto al mondo, specialmente le sibilline armi della “perestroika” e della “glasnost”, grossomodo riforma e trasparenza, su cui in Occidente furono versati inchiostri abbondanti.

Per i giornalisti che andavano all’esame per diventare professionisti era particolarmente raccomandato, in Italia, non in Unione Sovietica, essere ferratissimi in materia. Oggi, con quel che sta accadendo in Russia e fuori dei suoi confini, non resta che celebrare la memoria di quel sogno, ricordandone le cause. Chi è giovane non ricorderà il longevo Leonid Breznev dalle enormi sopracciglia, ricco, corrotto e prigioniero di una classe dirigente che dissipava tutte le risorse in armamenti inutili. Morto Breznev fu il turno di un vero stratega: Yuri Andropov di cui si può dire, come per certi imperatori romani, che fu spietato ma intelligente. Andropov si rese conto che l’Urss stava andando in bancarotta e che sia le forze armate che la catena degli Stati “satelliti” costavano un occhio e producevano solo guai e dissidenti. L’Europa occidentale stava diventando un progetto sempre più concreto e specialmente i francesi spingevano molto per il vecchio sogno del generale De Gaulle: fare un’Europa “dall’Atlantico agli Urali” (Russia inclusa) imponendo ad americani e inglesi di lasciare il continente europeo. La Russia aveva sempre avuto bisogno della tecnologia europea e l’Europa del petrolio e del gas russo.

Il dissidente e scrittore russo Vladimir Bukowski pubblicò un libro, intitolato “Eurss”, che sintetizzava sarcasticamente il progetto. Andropov selezionò fra i candidati anche l’emergente Michail Gorbaciov perché aveva tutte le qualità che piacciono agli occidentali, persino una moglie elegante come Raissa che infatti furoreggiò in Occidente. A causa del tumore che lo stava uccidendo, Andropov tentò di convincere il Comitato Centrale ad eleggere Gorbaciov come successore, ma quel club di vecchie cariatidi preferì uno dei loro, Cernenko. Eppure, aveva spiegato Andropov allo stesso Comitato Centrale, l’obiettivo era non solo semplice e da raggiungere con urgenza, ma anche che richiedeva qualità personali: concedere all’Occidente tutti gli Stati della cosiddetta “cortina di ferro” incapaci di mantenersi, a cominciare dalla Repubblica Democratica, e ottenere in cambio una procedura di ingresso nell’Europa occidentale. E poi trovare un accordo con gli americani sulla insostenibile corsa agli armamenti in cui la tecnologia recitava un ruolo da protagonista.

Finalmente nel 1985 Cernienko muore e Gorbaciov ottiene il posto che gli spetta e per cui era stato addestrato con molta cura. Comportandosi come un leader occidentale Gorby parla volentieri in pubblico e a braccio, cosa inappropriata in terra sovietica. Ma fa di più: impone parole nuove come glasnost – la trasparenza – attraverso la quale far accettare l’idea di una gigantesca riforma come la Perestroika poco compresa in Occidente e che era stata elaborata dallo stesso Andropov. La sovietologa francese Hélène Blanc concorda con un altro grande analista Nicolas Jallot: «Fabbricando la Perestroika, il Kgb comprende che la sola soluzione per far ripartire l’Unione Sovietica è abbandonare l’Europa Centrale puntando sull’Europa Occidentale».

Cominciano gli anni d’oro del grande flirt fra l’Occidente e Gorbaciov che entusiasma in particolare gli eurocomunisti italiani, spagnoli, portoghesi e francesi. Ma in Italia anche la Democrazia Cristiana è felice dell’incoraggiante piega che sembra prendere lo scenario internazionale perché si può sperare di vedere la fine della guerra fredda e dunque la possibilità di ringraziare gli americani per i servizi resi con preghiera di tornarsene a casa. La controstoria, che emergerà con qualche anno di ritardo, saranno i grandi movimenti delle mafie russe protette dal Kgb solleticate dalle possibili alleanze con le mafie europee, giocando un ruolo fondamentale nella fuga dei capitali di Stato organizzata dai servizi segreti per rimettere la Russia in una posizione favorevole.

Nel gennaio 1986 Alessandro Natta, segretario del Pci, volle incontrare Gorbaciov per parlare della creazione del Mercato Unico Europeo previsto per il 1992. Gorbaciov era perfettamente d’accordo e ripeté ufficialmente che ciò “che avviene oggi in Europa occidentale determinerà il corso degli eventi per molti e forse per secoli”. Gorbaciov spiegava che la nuova linea internazionale non consisteva nel dividere l’Europa occidentale dagli Usa, ma nel far uscire gli Usa dall’Europa, in perfetta coincidenza col progetto gollista poi rilanciato dal Presidente Francois Mitterrand. Fra i consiglieri di Gorbaciov viene arruolato il generale Jaruzelski, ex presidente – golpista per necessità – della Polonia dal febbraio del 1981 che propone una serie di incontri con ex politici europei come Willy Brandt. L’incontro fra Gorbaciov e la sinistra socialdemocratica europea diventa un trend: nel maggio del 1988, Vogel, leader dei socialdemocratici tedeschi va da Gorbaciov dichiarandosi favorevole a una vasta “perestroika” internazionale.

Anche i laburisti inglesi cominciano a guardare a Mosca con nuovo interesse e il 23 agosto 1988 Vladimir Zagladin, il miglior esperto di politica estera, corse da Gorbaciov per dirgli di aver avuto un colloquio con il parlamentare laburista Ken Livingstone secondo cui “il nocciolo duro” del partito ritiene che esistano ampie opportunità per incrementare i rapporti tra Europa occidentale e Urss”. Un colpo vincente dopo l’altro. Un anno dopo Kenneth Coats, presidente del sottocomitato per i diritti dell’uomo del Parlamento Europeo fece la tanto attesa proposta: preparare entro due anni una sessione congiunta dell’Europarlamento e del Soviet supremo dell’Urss. Finalmente il 26 novembre del 1988 si incontrarono a Mosca Gorbaciov e Mitterrand, che mise in chiaro il grande sogno: “L’Europa, unita nella Cee, è solo il primo passo verso la totalità dell’Europa”.

Certo, osservò Mitterrand, che nel campo dei diritti individuali l’Europa occidentale segue una prassi “più perfetta di quella vigente in Urss”, ma per i diritti collettivi “l’Occidente nel suo complesso dovrà lavorarci molto”. A Mitterrand era poi succeduto Chirac, che diceva di non amare affatto l’idea della “casa comune europea”, ma decide di appoggiare il progetto. Fu poi la volta del ministro degli Esteri spagnolo Ordonez, il quale disse a Mosca che “il successo della perestroika significa il successo della rivoluzione socialista nelle condizioni odierne”. L’anno successivo, il 1989 della caduta del muro di Berlino, l’ex Cancelliere tedesco Willy Brandt chiese al leader sovietico “che tipo di aiuto per la perestroika si aspetta dal cosiddetto Occidente e da noi socialdemocratici”. Brandt era stato travolto dallo scandalo del suo segretario Guillaume, il quale era stato arrestato per essere sempre stato un agente sovietico. E per far meglio capire da che parte stava disse che avrebbe scoraggiato qualsiasi tentativo delle Repubbliche baltiche di uscire dalla federazione con l’Urss.

Tutti questi movimenti si trasformavano in spostamenti reali: la gente dell’Est sovietico faceva capolino in Europa occidentale alla guida delle misere Trabant e venivano fotografati come marziani. Il mondo occidentale si stava preoccupando: che intenzioni ha Gorbaciov? Vuole aprire le frontiere a milioni di fuggiaschi che si riverseranno in Europa? A novembre del 1989 il ministro degli Esteri francese Dumas si precipitò a Mosca molto preoccupato. Ma Gorbaciov era allegro: “Noi stiamo cambiando, gli disse. Ma sta cambiando l’Occidente? Noi rappresentiamo due tendenze del movimento socialista”. E Dumas rispose: “Se lei scorge una certa sorpresa nei miei occhi, è solo perché stavo per dire la stessa cosa”.

La questione del muro di Berlino rientrava nell’ambito dell’altro tavolo, quello con gli Stati Uniti, dove il Presidente Donald Reagan poneva la precondizione, per trattare, che “Mister Gorbaciov butti giù quel muro”. E Gorbaciov volle darne l’annuncio personalmente al Bundestag di Bonn, dove disse di ritenere quel muro un errore da correggere. Pensava di poter realizzare i programmi con ordine, ma la folla dei berlinesi lo accolse il giorno dopo con i picconi in mano, gridando “Gorby! Gorby!” e il muro venne giù a furor di popolo. A chi in patria era furioso per quel gesto che si sarebbe tradotto prima o poi nella riunificazione della Germania, Gorbaciov rispose che la riunificazione avrebbe dissanguato la Repubblica federale e che avrebbe dovuto dare garanzie reali di disarmo e di pacifismo, come poi avvenne realmente dopo gli incontri del Cancelliere Kohl con gli altri leader europei: lasciateci fare la riunificazione e noi in cambio vi permetteremo di usare in tutta Europa il Deutsche Mark, magari chiamandolo euro.

Furono anni febbrili i primi Novanta perché Mitterrand era totalmente favorevole a qualche forma di associazione dell’Urss con l’Ue e il fronte gorbacioviano si allargava fino alla Spagna di Felipe Gonzales, il quale il 26 ottobre del 1990 ricevette Gorbaciov a Madrid e disse pubblicamente di provare “disgusto intellettuale” di fronte agli atti del G7 in cui si equiparano i problemi della democrazia e dell’ideologia dell’economia di mercato. Mitterrand andò a Praga per parlare con Havel di una possibile Assemblea per “una confederazione europea”. Tuttavia, il presidente Havel, un grande scrittore che aveva trascorso alcuni anni in galera, mandò a monte il progetto, almeno per la parte cecoslovacca. Finalmente si arrivò al Summit del G7 a Londra dove il Segretario generale del Pcus fu invitato come ospite e protagonista. Giulio Andreotti disse: «Sono felice di aver vissuto abbastanza per arrivare al giorno in cui siamo noi a dire all’Urss di mantenere le sue posizioni».

Ma tutto questo fermento europeista di Gorbaciov, che nel frattempo aveva ottenuto una pace di fatto con gli Stati Uniti pagando come prezzo un declassamento di fatto dell’Urss da superpotenza a potenza regionale, aveva fatto imbestialire i quadri del Kgb, all’interno del quale però Gorbaciov aveva costruito un suo proprio Kgb molto attivo sul piano internazionale. Si arrivò così al teatrale colpo di Stato contro Gorbaciov che doveva avere soltanto l’effetto che poi realmente ebbe: frantumare il prestigio di Gorbaciov e portare a un repulisti all’interno dello stesso Kgb con l’arresto del suo capo Vladimir Kryuchkov. Spaccata in due, la grande casa madre del Kgb si affossò e con decreto dello stesso Gorbaciov il Kgb venne frantumato in nuovi Direttorati da cui nascono l’Svr, l’Fsb, il servizio interno, e il Fapsi.

Il Paese era arrivato al collasso: Gorbaciov non aveva avuto mezzi e capacità sufficiente per tenere sotto controllo i suoi nemici che ormai erano tutti. Alla fine del 1991 Gorbaciov cede e lascia il potere a Boris Eltsin che, non aveva esitato a prendere a cannonate il Parlamento di Mosca dove si erano asserragliati i rivoltosi che avevano tentato il golpe. Da allora, Michail Gorbaciov diventò un fantasma sulla scena internazionale dove appariva saltuariamente ai convegni cui era invitato. In patria gli rimproveravano una nuova forma di totalitarismo consistente nel distruggere la tradizione russa per assumere dall’Occidente, sia pure europeo e sia pure socialista, atteggiamenti incompatibili con la Russia e la sua anima profonda, che è quella di gente come Dugin, il grande ispiratore di Vladimir Putin,

A Gorbaciov non piaceva Putin che era stato imposto a Eltsin dal circolo ristretto del Kgb, impegnato e riprendere il potere dopo l’ondata delle violenze e delle sopraffazioni degli oligarchi che avevano fatto riciclare all’estero gran parte del tesoro sovietico e dello stesso partito comunista. Gorbaciov aveva sempre con sé una vistosa ed elegante borsa firmata di Luis Vuitton e compariva sempre meno perché era noto che fosse malato e del resto ampiamente dimenticato in Occidente, mentre nella sua Russia era ed è considerato una disgrazia per aver causato lo spappolamento dell’impero, un danno cui il presidente Vladimir Putin è intenzionato a porre rimedio.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.