La morte dell'ex leader Urss
“Il mio incontro con Gorbaciov: da Craxi e Andreotti all’amicizia con Berlinguer. La sua perestroika sfruttata dall’Occidente”, intervista a Gianni Cervetti
![“Il mio incontro con Gorbaciov: da Craxi e Andreotti all’amicizia con Berlinguer. La sua perestroika sfruttata dall’Occidente”, intervista a Gianni Cervetti “Il mio incontro con Gorbaciov: da Craxi e Andreotti all’amicizia con Berlinguer. La sua perestroika sfruttata dall’Occidente”, intervista a Gianni Cervetti](https://www.ilriformista.it/wp-content/uploads/2022/09/gorbachev-pagina-4-900x600.png)
Gianni Cervetti, una storia nel Pci e del Pci, l’Unione Sovietica l’ha conosciuta e frequentata come pochissimi altri in Italia. Nel suo libro Il compagno del secolo scorso, ha raccontato gli anni della sua formazione, assieme alla moglie Franchina, compagna di una vita recentemente scomparsa, di studente nella Russia di Chruščëv. “Cervetti – scrive Siegmund Ginzberg in un bell’articolo su Il Foglio – è uno che di Unione Sovietica e di Russia ne sa qualcosa… È l’uomo che Enrico Berlinguer aveva incaricato di recidere ogni cordone ombelicale con l’Urss. Di mettere fine agli imbarazzanti finanziamenti, in qualsiasi forma. L’ha raccontato negli anni Novanta senza alcuna reticenza, per filo e per segno nel suo L’oro di Mosca”. Sul filo della memoria, che l’età avanzata non ha minimamente scalfito, intrecciando analisi e ricordi personali, Cervetti racconta a Il Riformista il “suo” Michail Sergeevič Gorbačëv
Cosa ha rappresentato Gorbačëv per il mondo, per l’Unione Sovietica e per il Partito comunista italiano?
Per il mondo ha rappresentato l’uomo della pace. Per l’Unione Sovietica, di conseguenza, ha rappresentato un innovatore delle vecchie politiche e anche delle strutture. Per il Pci è stato un uomo dell’apertura e della comprensione, innanzitutto verso le politiche berlingueriane.
Gorbačëv l’innovatore. Il leader che pensava di poter riformare il socialismo reale. Era un illuso?
No, è stato un combattente. Un combattente che si dovette scontrare con resistenze potenti e radicate, in primis quelle interne ma anche di carattere internazionale. La sua perestroika fu letta in Occidente come un segno di debolezza, come l’ammissione di una crisi dell’impero sovietico su cui bisognava agire per vincere definitivamente la Guerra fredda. Fu questo l’approccio di Reagan e della Thatcher. Continuo a credere, con gli occhi dell’oggi, che quell’approccio punitivo ha contribuito a sedimentare quella volontà di rivalsa antioccidentale da parte della Russia su cui continua a far leva Putin per mantenere un consenso interno.
Scavando nel tempo e dal ricco cassetto dei suoi ricordi personali. Quali cose le sono rimaste più impresse nei suoi tanti incontri con Gorbačëv?
I ricordi sono tanti, e tutti indelebili nella mia mente. Ricordo l’incontro che ebbi con lui nel maggio del 1982 quando era stato appena eletto Segretario generale del Pcus. Qualcuno ha detto che avevamo frequentato assieme la stessa Università. Ma questo non è del tutto esatto, perché l’anno in cui lui terminò l’università di Mosca io la cominciai. Eravamo nello stesso edificio. La prima volta che lo incontrai fu nel 1972 alla Festa de l’Unità di Torino. Lui era stato invitato, assieme a Raisa Gorbačëva, la sua splendida moglie e ad un altro gruppo di segretari, dal Pci per una vacanza in Italia. Lui a quel tempo era Segretario della sua regione, quella di Stavropol’, dove aveva mosso i primi passi da uomo politico. Era stato in Sicilia, a Terrasini. Prima di ripartire per Mosca, si fermò a Torino alla Festa de l’Unità. Io andai lì per incontrare Berlinguer. Incontrai Enrico e anche Gorbačëv. Si dice che la prima volta non la si scorda mai. Beh, in quel caso fu così. Parlammo per qualche minuto, e non credo di esagerare nel dire che si stabilì un feeling di simpatia umana tra di noi. In seguito lo incontrai a Mosca appena dopo la sua elezione al vertice del Pcus.
Perché si recò a Mosca?
Io ero allora presidente del Gruppo parlamentare multinazionale in Europa. Andai a Mosca perché avevo avuto sentore che qualcosa stava cambiando. Una mattina di maggio, era sabato, ricevetti in albergo una telefonata dal suo segretario, Aleksandrov-Agentov, il quale mi disse “se sei d’accordo Gorbačëv vorrebbe incontrarti. Ti prega di venire qui alle 11”. Ovviamente io gli dissi di sì. Ero a Mosca con il presidente del gruppo comunista al Parlamento europeo, Angelo Oliva. Il giorno prima, Gorbačëv aveva fatto un discorso nell’allora Leningrado, in cui aveva usato, per la prima volta, la parola perestroika. E io leggendo i giornali di quella mattina trovai questa parola. A un certo punto del nostro incontro, gli chiesi cosa volesse esattamente dire con quel termine.
E lui?
Con parole abbondanti cercò di spiegarmelo. E poi mi disse che una settimana dopo avrebbe incontrato Craxi e Andreotti che andavano a Mosca in quanto l’Italia era presidente di turno dell’allora Comunità Europea. Mi chiese cosa avrebbe dovuto dire loro. Io che fino a quel momento gli avevo raccontato che noi eravamo autonomi etc., ebbi una esitazione nel rispondergli. C’è una parola russa, edinizza, che significa unione, unità. Io gli dissi che se Craxi, a quel tempo presidente del Consiglio, e Andreotti, ministro degli Esteri, si fossero presentati animati con spirito di edinizza, sarebbe stato importante che l’Urss avesse risposto con lo stesso spirito costruttivo. Lui convenne in questo. Mi ricordo che si rivolse al suo segretario, che partecipava al nostro colloquio, Aleksandrov-Agentov, che era un uomo di grande cultura, e conosceva parecchie lingue, ma era anche una persona molto rigida. Gorbačëv gli disse: “annota, annota questa frase”. Frase che poi utilizzò a Parigi, qualche settimana dopo, quando tenne un importante discorso all’Assemblea Nazionale francese. E a Craxi e Andreotti disse la stessa cosa. Poi io tornai in Italia dove la cosa non fu accolta tanto bene. Ricordo che mi telefonò Altiero Spinelli che mi disse ma cosa sei andato a fare a Mosca, quelli non cambieranno mai. Io gli risposi che mi sembrava di aver sentito toni diversi da quelli di prima. E lui tagliò corto dicendomi, pressappoco, che ero un ingenuo. E invece è successo quel che è successo.
Lei che è stato testimone attivo di un’epoca, come racconterebbe i rapporti tra Berlinguer e Gorbačëv?
Furono rapporti veri, tra persone che si stimavano reciprocamente e che avevano maturato, ognuno con il proprio carattere, sentimenti di amicizia personale, di simpatia umana. Stima e amicizia. Tanto che Gorbačëv volle partecipare ai funerali di Berlinguer. Volle venire di persona, cosa che non era mai successa per nessun Segretario. Ricordo quel giorno e ricordo la commozione sincera, il dolore vero, personale, di Gorbačëv.
Sempre sul filo dei ricordi personali. Lei in precedenza ha fatto riferimento al suo primo incontro con il futuro Segretario generale del Pcus, nel 1972 alla Festa de l’Unità di Torino. Ad accompagnare Gorbačëv c’era la moglie Raisa, compagna di una vita. Cosa le è rimasto impresso di quel rapporto e quanto Raisa ha pesato nella vita politica e di statista di Michail Sergeevič?
Ha pesato molto, fin dagli anni della loro gioventù. Erano molto legati. Quando lei parlava, lui la seguiva sempre con grande attenzione. Una volta, proprio qui a Milano, in un’assemblea molto partecipata e animata, alla quale partecipavano Gorbačëv e Raisa, le domande rivolte a Raisa erano così a raffica da impedirle di completare il suo discorso. A un certo punto lui disse: fatele finire quel che sta dicendo. Mi colpì lo sguardo e il sorriso tra i due. Il loro era un rapporto di reciproca protezione, se posso dire di complicità sentimentale e intellettuale. Un rapporto durato una vita. Per Gorbačëv la scomparsa di Raisa fu un colpo tremendo, dal quale non si riprese mai completamente.
In una nostra precedente conversazione, lei affermò che nella storia della Russia, ancor prima che s’instaurasse l’Unione Sovietica, ci sono tre periodi nei quali le cose potevano svilupparsi in senso democratico. E uno di questi fu nella breve stagione di Gorbačëv. Il fatto che quel tentativo non andò a buon esito, significa che il socialismo reale è irriformabile?
Alla luce degli avvenimenti che si sono susseguiti, si deve rispondere di sì. Tuttavia io credo che in quel fallimento c’è anche la responsabilità degli uomini che governavano in Occidente, negli Stati Uniti come in Europa. C’è stata una vista corta.
Cosa è rimasto, se è rimasto qualcosa, della Russia immaginata, se non realizzata, da Gorbačëv, nella Russia di Putin?
Nella Russia attuale di Putin non è rimasto nulla della Russia immaginata da Gorbačëv. Quella di Putin è una Russia che guarda al futuro con gli occhi di un passato che ha le sue radici storiche e identitarie nella Russia pre-sovietica, nella Russia imperiale, zarista. Certamente il suo riferimento non è mai stato Gorbačëv, semmai Pietro il Grande.
Gorbačëv può essere considerato un “Grande della storia”?
Io penso di sì. Lui è stato alla testa di un tentativo di cambiare i rapporti nel mondo e di cambiare la posizione del suo Paese. Lui era sinceramente convinto che potesse avvenire una rivoluzione democratica. Non c’è riuscito, ma ha combattuto per questo. La battaglia di una vita. Una vita ben spesa.
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