Si sta avvicinando la marcia pacifista della pace del 5 novembre, convocata con parole d’ordine molto chiare nel chiedere il cessate il fuoco e l’avvio di trattative, mentre nel documento, frutto delle trattative tra associazioni, si fa un riferimento esplicito anche all’aggressore. Ma negli slogan-guida, quelli che daranno l’impronta al corteo, manca qualsiasi accenno al brutale aggressore russo. Ci risiamo.

Anche negli anni Ottanta, quando l’Unione Sovietica aveva dispiegato per prima i suoi Ss 20 e aveva invaso l’Afghanistan, come risposta le piazze italiane e pacifiste si mobilitarono contro gli euromissili installati da chi aveva reagito a quella aggressività. Ma se la campagna pro-Ucraina coinvolge soltanto sparute minoranze di classe dirigente (Mattarella, Draghi , Meloni, Letta, i radicali, i socialisti) nella ostile indifferenza della maggioranza silenziosa, è anche per una ragione che è rimasta del tutto estranea alla discussione pubblica: aver stressato l’argomentazione atlantista.

La Nato ci ha difeso per decenni dalla invadente aggressività sovietica e se Francia e Germania 14 anni fa non avessero messo il veto all’ingresso dell’Ucraina decine di migliaia di loro e di giovani russi sarebbero ancora vivi. E tuttavia uno degli errori fondamentali del fronte occidentale pro-Ucraina è stato proprio quello di continuare ad insistere sulla crociata nel segno dell’atlantismo anziché valorizzare sul dato essenziale: la brutale violazione del diritto internazionale da parte di Putin.

L‘atlantismo come bandiera ha risvegliato sopiti istinti antiamericani. Se si fosse impostata una campagna di opinione sulla violazione feroce della Costituzione mondiale anziché sul semplice atlantismo, è assai probabile che il consenso di massa oggi non sarebbe  sul disimpegno. Ma sulla resistenza contro l’invasore.  E la controprova, ahinoi, la avremo il 5 novembre.