La crisi mediorientale è ormai in cima all’agenda degli Stati Uniti. Joe Biden è preoccupato: sa che l’escalation nella regione turba tutta la strategia americana. Ma il capo della Casa Bianca è soprattutto consapevole che le difficoltà dell’amministrazione possono pesare nel contesto di una campagna elettorale in cui il rivale repubblicano Donald Trump rievoca la critica alle “guerre infinite” degli anni passati. L’escalation è costante. In questi ultimi giorni, in Iraq si è addirittura tornato a discutere della presenza militare di Washington, con il governo di Baghdad e lo stesso Pentagono che hanno fatto riferimento all’ipotesi di una messa in discussione delle missioni per le quali i soldati Usa sono “boots on the ground”. E questo implicherebbe anche una progressiva diminuzione del numero di consiglieri militari. Non è un caso che questo dibattitto avvenga proprio dopo i raid dei Pasdaran e delle milizie filoiraniane e i conseguenti bombardamenti da parte delle forze Usa contro le fazioni legate a Teheran e facenti parte della costellazione sciita. Molti analisti ritengono che dall’Iran sia sempre più evidente la volontà di spingere i marines americani ad abbandonare il teatro iracheno. E in questo contesto, è chiaro che la prova di forza e l’aumento della pressione sulle unità Usa può essere una strategia utile anche per aumentare la spinta sull’opinione pubblica statunitense.

Le nuove sanzioni e la volontà di Washington e Londra

Anche l’altro fronte bollente, quello dello Yemen, continua a destrare le preoccupazioni di Washington e di Londra. Il Dipartimento del Tesoro americano, insieme agli omologhi britannici, ha annunciato un nuovo round di sanzioni nei confronti di quattro alti esponenti Houthi: decisione che si unisce alla volontà di stringere la morsa contro la rete di finanziamento della milizia sciita. Allo stesso tempo, Washington e Londra hanno ribadito la volontà di continuare gli attacchi contro le postazioni lanciamissili yemenite in caso di nuove minacce ai cargo. Ipotesi che è già stata confermata dallo stesso gruppo sciita ricordando che i raid contro le navi continueranno fino a che non si sarà fermata la guerra a Gaza. Questo legame lo ha certificato anche il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir Abdollahian, il quale ha sottolineato che gli Houthi hanno informato Teheran che “fermare la guerra a Gaza metterà fine alla tensione nel Mar Rosso”.

La questione dei confini

Appare chiaro che quello tra Sanaa e Teheran è più di uno scambio di formazioni, visto che quest’ultima è il centro della rete che unisce la galassia sciita. Tuttavia il messaggio inviato dall’Iran è che i due fronti siano collegati in modo indissolubile. Legame che unisce anche il Libano, dove ieri, ancora una volta nella parte meridionale, le forze armate israeliane hanno colpito obiettivi di Hezbollah, tra cui una pista nella zona di Qalaat Jabbour che secondo l’intelligence dello Stato ebraico era usata per il lancio dei droni. L’allargamento del conflitto al Paese dei cedri è uno dei tempi più spinosi della diplomazia mondiale. Ieri il ministro degli Esteri libanese Abdullah Bou Habib ha detto in un’intervista che il governo di Beirut è pronto a trattare con Israele per risolvere definitivamente la questione dei confini, facendo dunque un passo in avanti verso la risoluzione di ogni tipo di disputa. L’accordo segnerebbe anche una nuova rimodulazione delle forze al confine. Ma Israele ha già detto che vuole Hezbollah molto più lontano dalla sua frontiera.

Le operazioni a Khan Younis

Nel frattempo, nella Striscia di Gaza, le forze armate israeliane hanno ampliato le operazioni a Khan Younis, epicentro meridionale dello scontro con Hamas. L’obiettivo di Israele non è solo quello di distruggere la rete infrastrutturale dell’organizzazione, ma anche di ritrovare gli ostaggi. I negoziati per la loro liberazione proseguono senza sosta. E proprio per incentivare le discussioni, Biden ha deciso di mandare il direttore della Cia, William Burns, in Europa, dove incontrerà i capi delle intelligence mediorientali coinvolte nelle trattative.