La violenza scuote la Francia. L’uccisione di Nahel, ragazzo di 17 anni colpito a morte da un agente di polizia durante un controllo a Nanterre, ha provocato un’ondata di rabbia non solo nella città dell’omicidio ma anche in altri centri urbani. Il ministero dell’Interno, dopo la terza notte di scontri, ha affermato che solo tra agenti di polizia e gendarmi si calcolano 249 feriti, seppur in modo non grave. A Marsiglia, due poliziotti sono stati riconosciuti e aggrediti da un gruppo di facinorosi: uno dei due è stato accoltellato. I fermati durante la guerriglia sono centinaia. Il ministero di Gerald Darmanin, in una nota, ha annunciato che il computo era arrivato a 875. Di questi, come confermato dal presidente Emmanuel Macron, un terzo è composto da giovanissimi, al punto che lo stesso capo dell’Eliseo si è rivolto ai genitori delle persone scese in strada facendo appello «al senso di responsabilità dei padri e delle madri di famiglia» per trattenere i figli in casa. Una scelta comunicativa che conferma un problema (uno dei tanti) che attanaglia la Francia: l’età sempre più bassa dei ragazzi che partecipano alle devastazioni.

Non è un caso che Macron abbia puntato il dito anche contro i social come Snapchat e TikTok, accusando chi sfrutta le piattaforme social per aizzare le proteste e veicolare messaggi per creare il disordine. Mentre il governo schiera più di 40mila agenti di polizia per evitare che quanto accaduto a Nanterre e in altre città possa dilagare come le rivolte del 2005, la guerriglia urbana diventa il primo tema all’ordine del giorno della politica. Da destra, il Rassemblement National ha chiesto che fosse immediatamente applicato lo stato d’emergenza e il regime di coprifuoco. A invocarlo prima erano stati i Républicains di Eric Ciotti e il tribuno della destra radicale, Eric Zemmour. Quest’ultimo ha richiesto una «repressione feroce» contro i responsabili dei saccheggi e delle violenze nei confronti della polizia, ribadendo che quanto sta accadendo in queste notti in Francia sarebbere solo «avvisaglie di una guerra civile, una guerra etnica, una guerra razziale» e accusando lo Stato di «cedere» di fronte ai violenti per paura che la reazione delle forze dell’ordine provochi morti.

A sinistra, Jean-Luc Mélenchon, rivale di Macron alle elezioni e leader de La France Insoumise, ha rimproverato il governo di non gestire più la polizia. Su Twitter, l’esponente della sinistra radicale ha inoltre affermato che «l’escalation securitaria porta al disastro» chiedendo di «ascoltare la richiesta popolare». Una scelta narrativa che ha ricevuto critiche anche dallo stesso mondo della sinistra transalpina. Il segretario del Partito comunista, Fabien Roussel, seppure alleato di Melenchon all’interno del blocco Nupes, ha scritto un tweet che a molti è apparso come una presa di distanza molto chiara dall’altro leader: «Quando si è di sinistra si difendono i servizi pubblici, non il loro saccheggio». Ma se la politica si divide sulla reazione nei confronti della guerriglia, resta il problema di una violenza che in Francia appare sempre più incontrollabile.

Molti osservatori si soffermano sul fatto che dall’inizio delle rivolte dei gilet gialli fino alle proteste contro le restrizioni anti-Covid e quelle per la riforma delle pensioni, aggiungendoci anche la violenza negli stadi, lo Stato appare sempre più messo in discussione, diventando esso stesso l’oggetto di una rivolta dai «tratti insurrezionali». Il filosofo Jean-Loup Bonnamy, dalle colonne de Le Figaro, ha puntato il dito contro l’incapacità delle autorità di imparare dai propri errori, a partire dalla mancata integrazione nelle banlieue a fronte di un’immigrazione gestita male e spesso abbandonata a sé stessa. Il richiamo di Macron sui genitori non è inoltre da sottovalutare: la Francia si trova di fronte a un problema di giovanissimi su cui le autorità non attecchiscono. In compenso, altri attori e altri strumenti riescono a intercettare la rabbia e innescare il caos.

Lorenzo Vita

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