Liberalismo storicista e impegno nella toponomastica
Identità in mutazione, la lezione liberale e riformista di Ernesto Paolozzi
Le guerre mettono sempre alla prova le nostre idee di pace e guerra, comunità e identità. Forse nessun pensatore liberal-democratico ha scritto sulla pace e sulla guerra quanto Norberto Bobbio. A cui capitò l’esperienza inconsueta di essere contestato da alcuni suoi allievi quando prese posizioni a favore della prima guerra del Golfo. Fu l’occasione di precisazioni e distinzioni, di dubbi e di fermezze, come era tipico di questo grande intellettuale italiano. Rileggevo le sue pagine mentre cade il primo anniversario della scomparsa del caro Ernesto Paolozzi, che per ragioni anche biografiche si diceva liberale “senza trattino”, ma era un grande liberal-democratico. Da grande amico delle società aperte non avrebbe dubbi a condividere l’approccio che i paesi democratici stanno portando avanti. Ernesto era un vero liberale, e pertanto il centro della sua attenzione era l’individuo e le sue garanzie contro il potere pubblico.
Ma al tempo stesso era anche un “crociano” e questo lo portava a cimentarsi con le questioni, non sempre agevoli, poste dal pensiero del Maestro napoletano – e dal suo allievo Franchini, diretto maestro di Paolozzi – con riferimento al ruolo dello Stato e dell’etica. L’individuo di Paolozzi non è un individuo astratto e isolato, ma comunitario e sociale. “È la libertà intesa come rispetto dell’individuo comunitario l’utopia concretamente operante l’ideale regolativo che deve ispirare l’azione politica, il comportamento sociale. Un ideale in continuo movimento”. Gli Stati? “Ma se poi fosse ipotizzabile una sparizione degli Stati, non si capirebbe come e perché per tanti secoli l’umanità avrebbe tanto duramente lottato per costruire istituzioni sbagliate o destinate a scomparire”, e infatti “la natura profonda” dello Stato “rimane incerta fra una teoria generale della formazione dello Stato e la storicità delle varie formazioni storiche degli Stati”. Da cui conclude che gli Stati non si fondano certo (né al loro interno, né – aggiungiamo – nei loro rapporti) solo “sulla forza e sulla lotta”. Sono parole tratte da uno dei suoi libri.
Lo storicismo di Ernesto Paolozzi, dunque, lo distingue da altri tipi di liberali. Tanto da affermare che più o meno Stato, ad esempio (provocatoriamente potremmo aggiungere: più o meno armi, guardando al dibattito italiano sulle spese militari) non è una questione astratta ma che si pone storicamente e si risolve politicamente nell’attualità secondo opzioni e vincoli del momento. Ma nulla è più lontano da lui dall’intendere questi parametri come buoni per un uso e consumo puramente contingente. La scelta politica del momento si colloca sempre in una tradizione e in una storia, la quale, secondo la lezione crociana, è sempre attuale. Ecco che il Paolozzi “ucraino” sarebbe per la difesa intransigente del diritto dei popoli e degli Stati, dell’ordine internazionale sulle relazioni internazionali, ma sarebbe molto cauto sul tema della nazione, particolarmente scivoloso. Comunità e identità per lui sono sempre in trasformazione, ma con giudizio e prudenza, senza che il divenire debba mai far perdere memoria del luogo dal quale si viene.
Paolozzi ha potuto mettere alla prova queste sue idee da Presidente della commissione toponomastica del Comune di Napoli, che si è protratta per un decennio, dove con perizia e pazienza ha dovuto affrontare nuovismi e revisionismi di ogni sorta, in un tempo di grandi cambiamenti. Ernesto ha sempre voluto far rispettare, anche nei casi più difficili, la regola per cui l’identità ha bisogno di tempo e non di “santi subito”. E mai è stato iconoclasta verso il nostro passato, anche quando rappresentato da nomi certamente lontani dal Pantheon democratico e liberale, purché non fossero molto compromessi da apparirci estranei. Un insegnamento di fermezza e moderazione che ci portiamo dentro.
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