L’appuntamento è per le 11 a Palazzo Madama. Al voto di fiducia sul Decreto Ucraina tutti i nodi verranno al pettine. E quelli del Movimento sono tanti, con il presidente della commissione Esteri Vito Petrocelli che preannuncia di voltare le spalle al governo e una fronda interna che Conte non è sicuro di tenere a bada. Per sminare il campo dal pericolo della sfiducia e allontanare i grillini dal grilletto, il dl Ucraina arriva in Aula senza relatore, quindi nel testo approvato alla Camera, e senza l’Odg di FdI sull’impegno ad aumentare le spese militari al 2% del Pil.

Il Pd, che su Nato ed Europa non ammette riserve, ha ripristinato la cabina di regìa dei momenti più critici. Il filo diretto tra Gentiloni, Letta e Guerini è diventato rovente. E le chat dei parlamentari non sono da meno. L’escamotage serve al M5s per salvare le apparenze: il dl Ucraina prevede l’invio immediato di armi italiane alle unità ucraine combattenti, insieme all’adozione di un cospicuo pacchetto di aiuti umanitari. E nel Def l’inserimento dell’aumento del budget della Difesa ci sarà. Ma senza relatore, decade l’Odg che lo prescrive con rinnovata urgenza, rimettendo gli aumenti agli impegni già assunti in sede internazionale dai governi Conte I e II, e poi da Draghi. Il più preoccupato sembra Enrico Letta che ieri ha lanciato un avvertimento chiaro: «L’ Italia lascerebbe sbigottito il mondo se si aprisse ora una crisi di governo. Sarebbe dannosa per noi e tremendamente negativa per il processo di pace, per chi soffre per via della guerra. Noi lavoriamo con impegno per evitarla».

Tutti i suoi generali sono sul piede di guerra, lo scontro tra Conte e Draghi ha fatto esplodere l’insofferenza covata dal corpaccione dem verso l’alleato che viene accusato di «inseguire Di Battista», di «fare propaganda», addirittura di «trasformismo». Il segnale arrivato nel M5s con la conta interna che ha attribuito 44mila preferenze alla posizione di Danilo Toninelli – sul filo dell’opposizione a Draghi – è arrivato al Nazareno come un colpo di cannone. Quando è dai Dem che arriva un rimbrotto all’alleato grillino – «Questo è il tempo della politica adulta, basta con le rincorse al consenso dell’ultim’ora» – vuol proprio dire che la misura è colma. A passare le posizioni al microscopio, emergono i distinguo. Si riapre il caso Petrocelli: «Credo che il M5s voterà il Dl Ucraina: io sarò in Aula ma non lo voto. Resto convinto che non sia il caso di esporre l’Italia che segue una linea pacifica di esporsi ai rischi di essere cobelligerante e credo che la posizione maggioritaria del Parlamento non rispecchi la posizione del paese», dice.

Si dimetterà? «Non mi mette in imbarazzo avere un atteggiamento dialogante e poter mantenere una voce che rappresenta al momento la maggioranza degli italiani. Pensare di far diventare anche la commissione Esteri una rappresentazione di questa maggioranza assoluta, inamovibile su questi temi, per me è intollerabile». La polemica interna al Movimento sale al calor bianco: «Quello che contesto è che il mio Movimento che aveva un programma politico ben preciso anche in politica estera, oggi invece si mette nella condizione di rinnegare un percorso». La risposta istituzionale il Pd la fa arrivare dal ministro della Difesa. «Francamente uscirei da un dibattito approssimativo su cifre e date. L’impegno assunto in sede Nato nel 2014 e riconfermato da tutti i presidenti del Consiglio che si sono succeduti da allora prevedeva il raggiungimento del 2% del Pil per le spese della Difesa entro il 2024. Fin dal momento in cui ho assunto la guida di questo dicastero e anche in questi giorni ho sempre indicato sia l’esigenza di rispettare l’obiettivo del 2%, sia la gradualità con cui raggiungerlo», ha detto Lorenzo Guerini.

Al Riformista TV interviene il deputato romano Claudio Mancini, segretario in commissione Finanze: «Sarebbe inaccettabile aprire una crisi al buio nel pieno della guerra», dichiara. E Marcucci: «È evidente che se Conte dovesse intestardirsi sull’attuale posizione, ci sarebbero naturali conseguenze. A mio parere, il leader del M5s non potrà che ammorbidirle, perché l’adeguamento delle spese miliari seguirà lo stesso trend di crescita avuto durante i suoi governi per arrivare al 2% nel 2028. Rifiutare anche questa impostazione, sarebbe pura follia». Se la tensione oggi dovesse risolversi in un ennesimo bluff, è opinione diffusa che in ottobre, a diritti maturati da parte dei parlamentari, il M5s avrebbe invece davvero tutto l’interesse ad andare all’opposizione. Da dove prepararsi una campagna elettorale meno in salita. Al lavoro su questo fronte sarebbe già Virginia Raggi, i cui commenti filorussi – «Ucraina manovrata dagli americani» – hanno spinto ieri Azione e Italia Viva a chiederne le dimissioni dalla commissione Expo2030 nel Comune di Roma.

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.