Ogni nuovo romanzo di Isaac Bashevis Singer (Leoncin, 1904 – Miami, 1991), uno più grandi scrittori del Novecento, rappresenta un evento memorabile: man mano che rileviamo la dimensione della sua opera, fra Varsavia e New York, scopriamo, a posteriori, la forza di un narratore sorprendente, fra i più decisivi per capire l’epoca moderna, soprattutto la risposta operativa da lui incarnata dopo l’esperienza joyciana che sembrava aver condotto il romanzo in un vicolo cieco. Quale patetico abbaglio da parte di tanti pessimisti!

Stavolta tocca a noi italiani capirlo, dal momento che Adelphi pubblica, in anteprima mondiale, Il ciarlatano (pp. 268, per la cura benemerita di Elisabetta Zevi e la traduzione, strepitosa, di Elena Loewenthal), uno di quegli incredibili lasciti del “Forverts”, la leggendaria rivista yiddish alla quale Isaac, anche grazie ai buoni uffici del fratello Israel Joshua, iniziò a collaborare appena sbarcato negli States proveniente dalla Polonia. I capolavori furono innumerevoli, ultimo pubblicato sempre da Adelphi Keyla la Rossa. Lo scrittore, talvolta utilizzando pseudonimi, li spediva in redazione con cadenza bisettimanale. E non è finita qui. L’archivio Singer, custodito presso l’Università di Austin, in Texas, pare conservi altri tesori ancora nascosti che gli eredi con ogni probabilità provvederanno a centellinare come liquido prezioso.

Il ciarlatano risale agli anni 1967-68. Leggendolo s’intuisce quanto Philip Roth, per fare un solo esempio, fosse debitore a Isaac Singer. La storia è sempre la stessa: emigrati ebrei sulle rive dell’Atlantico, scampati alla Shoah, carichi di energia, come se dovessero dimostrare a se stessi, prima ancora che agli altri, il valore della vita strappata a stento dalla oscura cupidigia hitleriana. Herz Minsker è uno di loro. Parente stretto dell’ Hertz Grein di Ombre sull’Hudson o dell’Herman Broder di Nemici, sembra essere stato morso dalla tarantola: non esita a tradire l’amico più fedele, Morris Kalisher, diventando l’amante di sua moglie Minna, senza riuscire a controllare la conseguente catena di successivi accadimenti, quasi fosse in balia delle onde, nella metropoli in riva all’Atlantico, i cui palazzi e le cui strade gli sembrano “un’enciclopedia troppo grande” impossibile da conoscere per intero.

Ogni capitolo è un continuo rilancio, tra false sedute spiritiche, inutili tentativi di ravvedimento, appuntamenti mancati, tragedie familiari sempre sul punto di esplodere, mentre in Europa, dall’altra parte dell’oceano, migliaia di uomini continuavano a massacrarsi durante la Seconda guerra mondiale. Possiamo immaginare i lettori della rivista, emigrati di Coney Island, coi cappelloni, le barbe lunghe e i filatteri, che ad ogni puntata erano bramosi di conoscere l’esito delle tresche singeriane mostrando la stessa curiosità che il pubblico di oggi riserva alle serie televisive su Sky o Netflix. Lo scontro fra vecchio e nuovo mondo, da una parte le rigide maschere degli anziani, dall’altra i disinvolti costumi degli americani, provocava scintille.

Eppure, dietro lo schema del feuilleton, in mezzo alle crisi coniugali che spezzano antichi legami e annunciano altri orizzonti, lo scrittore tesse una trama ben più profonda, tesa a illustrare il peso schiacciante del libero arbitrio, che può innalzare l’uomo in cielo, oppure trascinarlo giù nel fosso, fino al punto da spingerlo al dubbio supremo: se è vero che, secondo la Gemarah, ogni filo d’erba ha un suo angelo, come possiamo essere all’altezza del compito che ci è stato affidato? Chi potrà salvarsi? Il narratore manovra i suoi personaggi alla maniera di un malizioso e sapiente burattinaio.

Alla fine anche Singer lascia filtrare un filo di angoscia a stento trattenuta. Come quando si chiede: e se la vita, la morte, l’amore, fossero semplici congetture? Ecco la sua risposta, amara e scanzonata insieme: «Forse la creazione era solo un gioco – una grossa bolla di sapone soffiata da un gigantesco bambino, destinata a scoppiare tra qualche miliardo di anni, un tempo che per Lui, il Giullare celeste, equivaleva a qualche istante».