L’Europa sta davvero imboccando la strada giusta nella sua corsa alla trasformazione digitale? O rischia di rimanere intrappolata in un labirinto di regolamentazioni che, invece di accelerare, rallentano l’innovazione? La domanda è decisiva, e la risposta non semplice. Se ne è parlato a Roma martedì durante l’evento promosso dalla Fondazione Ottimisti&Razionali, “Il Cloud alla prova della regolamentazione”, in cui il cloud è stato protagonista di una riflessione che va ben oltre la tecnologia.

Al dibattito, aperto dal direttore Claudio Velardi, hanno partecipato protagonisti del mondo istituzionale e dell’industria, riuniti per discutere il futuro del cloud in Europa. David Abecassis (Analysys Mason), l’Ammiraglio Andrea Billet (ACN), Federico Boccardi (AWS), Rosario Cerra (CED), Silvia Compagnucci (Open Gate), Eleonora Faina (Anitec-Assinform), e Laura Rovizzi (Open Gate). Le conclusioni sono state affidate al Sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti, che ha delineato una visione ambiziosa per l’Italia e l’Europa: costruire una sovranità digitale, che possa essere competitiva con gli Stati Uniti e la Cina. Ma dietro questa visione si nasconde una domanda comune a molti paesi europei: è davvero possibile conciliare innovazione e regolamentazione?

Nel mondo ormai in balia della digitalizzazione, il cloud è diventato l’infrastruttura critica su cui si reggono settori strategici, dalla finanza alle telecomunicazioni, fino alla sanità. Ma se da un lato l’Europa vuole proteggere i propri dati e garantire la sicurezza delle sue reti, dall’altro c’è il rischio di chiudersi troppo, soffocando le opportunità di crescita offerte da un mercato globale. C’è poi un’altra questione, forse più sottile, che attraversa il dibattito europeo: vogliamo davvero essere indipendenti dai giganti americani del tech? O è più una battaglia politica che economica? L’idea del Sottosegretario Butti di un “Airbus del cloud” – una federazione europea di fornitori di servizi cloud che possano competere con i giganti -, suona bene, ma la realtà è che l’Europa fatica ancora a trovare un modello che sia realmente competitivo su scala globale.

La frammentazione normativa e l’approccio conservatore di molti Stati membri sono un ostacolo, come le difficoltà del dialogo fra pubblico e privato: il risultato è una corsa che rischia di essere vinta da altri. Nel frattempo, le piccole e medie imprese –il cuore del tessuto economico italiano – osservano con scetticismo. Per loro, il cloud è ancora una promessa più che una realtà. L’accesso alle risorse è complesso, i costi della compliance sono alti e l’innovazione spesso si scontra con una burocrazia che lascia poco spazio al rischio. Finché le PMI continueranno a sentirsi escluse da questa rivoluzione digitale, il sogno europeo di una sovranità tecnologica rischia di rimanere soltanto un sogno.
L’Europa non può più permettersi di rimandare, perché mentre si discute, il resto del mondo corre. E la domanda non è se il cloud sia la strada giusta, ma se noi – l’Europa, l’Italia – siamo pronti a percorrerla fino in fondo.

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Laureata in Lettere Moderne all'Università degli Studi di Napoli Federico II con una tesi in Linguistica generale, dal 2021 collabora con la Fondazione Ottimisti&Razionali, in qualità di Flow Strategist, occupandosi anche di organizzazione di eventi, ufficio stampa e scrittura di articoli su energia, digitale, comunicazione. Nel 2023 ha svolto attività di ufficio stampa e segreteria per un candidato presidente alle elezioni regionali in Lazio. Attualmente è Public Affairs & Communication Consultant per Reframe e redattrice de il Riformista.