In un’epoca dove il futuro si fa sempre più incerto, Domani (Im)Possibili – l’ultima analisi proposta da Save the Children – presenta un quadro devastante ma imprescindibile: la povertà minorile in Italia. Nella scala delle opportunità, ogni gradino perso nella gioventù è un futuro che rimane irraggiungibile. Mentre in Italia oltre 1,3 milioni di bambini e adolescenti vivono in povertà assoluta, con un rischio di esclusione sociale che colpisce un minore su quattro in Europa, coinvolgendo 20 milioni di ragazzi al di sotto dei 18 anni.

Un fenomeno che colpisce duramente i più piccoli: tra i bambini fino ai tre anni, l’incidenza della povertà assoluta è del 14,7%. Questi bambini crescono in famiglie che lottano ogni giorno per sopravvivere, spesso costrette a rinunciare a beni essenziali come pannolini, abiti e alimenti per neonati. L’accesso limitato a servizi fondamentali rende in certi casi impossibile soddisfare bisogni fondamentali. Emerge inoltre una chiara correlazione tra il livello di istruzione dei genitori e la povertà dei minori. L’aspetto forse più sottile ma subdolo di questa condizione è come la soglia di povertà abbia un impatto significativo sulle aspirazioni e sulle aspettative future dei giovani. La “capacità di aspirare” è strettamente legata alle risorse disponibili e alla condizione socioeconomica di partenza. Spesso i giovani provenienti da contesti di maggiore deprivazione hanno aspettative più basse riguardo al loro futuro accademico e professionale. Così la povertà economica si trasforma di conseguenza in una gabbia invisibile che stringe le ali dei giovani, impedendo loro di volare verso i propri sogni.

Emerge con forza il ruolo delle proprie credenze personali, dove i giovani identificano le loro ambizioni e le aspettative. Nelle prime domina la dimensione del sogno: il giovane aspira a un lavoro compatibile con le sue preferenze, e poco importa se quel lavoro è nei fatti difficilmente realizzabile e accessibile. Le aspirazioni lavorative sono i desideri, ciò che idealmente si vorrebbe essere da grandi, dove prevale la dimensione razionale e realistica: il giovane continua a valutare le alternative occupazionali compatibili con i suoi interessi e le sue preferenze, ma in questo processo di selezione terrà conto anche del suo status, delle sue abilità e delle risorse di cui dispone. Da tempo sociologi e psicologi sono sostanzialmente concordi nel ritenere che la propensione alla mobilità sociale degli individui è fortemente associata all’appartenenza di classe. Infatti quello che spesso emerge è che i giovani delle classi medio-alte sono soliti prefiggersi obiettivi occupazionali elevati, perseguiti con tenacia e perseveranza, mentre i figli degli operai – spesso disincentivati da una carriera scolastica poco gratificante – si accontentano per lo più di seguire le orme dei loro genitori, prediligendo la sicurezza lavorativa al lavoro di prestigio.

Ecco, quindi, che la mancanza di risorse economiche e di supporto sociale diventa un muro insormontabile che non solo blocca il progresso, ma soffoca anche i sogni e le speranze. Questo effetto primario si manifesta immediatamente, poiché i giovani privi di opportunità vedono svanire le loro aspirazioni accademiche e professionali. L’effetto secondario – ancor più devastante – si insinua lentamente, come un veleno silenzioso. I giovani smettono di sognare in grande e spesso abbandonano completamente i loro sogni. Il risultato è una società che, priva del vigore e dell’innovazione delle nuove generazioni, stagna e si impoverisce. Da qui nasce il fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment or Training), giovani maggiorenni senza voglia di studiare, che non lavorano e non si formano. L’Italia domina questa classifica europea – quasi il 18% tra i 20 e i 29 anni si trova in questa condizione, uno su tre al Sud e nelle Isole.

La povertà delle opportunità non è quindi solo un’ingiustizia sociale, ma un crimine contro il potenziale umano. Privare i giovani della possibilità di aspirare significa rubare loro il futuro e, con esso, il progresso di tutta la comunità. A ciò si aggiunge che le ragazze sono spesso le più colpite da questo pessimismo secondario di riflesso. Nonostante ambizioni più alte per lo studio e l’università con tassi di partecipazione più elevati e performance in media molto più soddisfacenti, le aspettative sul mondo del lavoro sono drasticamente più basse rispetto ai coetanei maschi. Quasi la metà delle ragazze quindicenni è convinta che non troverà un lavoro dignitoso, e quasi il 30% pensa che non riuscirà a fare quello che desidera da grande. Una profezia sul gender gap che si autoavvera e che trasforma uno stereotipo in verità. Un fenomeno che ripercorre i propri passi anche nell’età adulta. Molte mamme, dopo la nascita di un figlio, vedono chiudersi molte delle già limitate porte di accesso al mondo del lavoro e devono affrontare la solitudine e le rinunce personali.

In un’ottica di ideale sostenibile, le opportunità non sono altro che i gradini verso il successo e ogni bambino meriterebbe di cominciare la salita dallo stesso punto. I dati confermano in modo crudele quanto questo non sia vero proprio sulla base del luogo di nascita. Emerge una marcata disparità regionale nella distribuzione della povertà minorile, con il Sud e le Isole che continuano a registrare i tassi più alti di povertà assoluta tra i minori. Il Sud rappresenta un terreno più arido, dove le ambizioni sono spesso soffocate dalla mancanza di risorse e da un tessuto sociale ed economico frammentato a basso capitale sociale. Sarebbe troppo semplice immaginare politiche di redistribuzione in questi contesti. La vera emancipazione nasce dalla consapevolezza, dall’educazione che alimenta le aspirazioni più profonde. Un’informazione mirata e precisa che non solo informi ma ispiri.

Giuseppe Pignataro

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