La forza dell’Italia è che ha sempre avuto ceti politici molto forti. Dall’Ottocento. Dai tempi dell’Unità. Ha sempre avuto una classe di governo robusta e una opposizione di grande livello. Soprattutto dopo il fascismo, cioè nella storia della Repubblica. La classe politica, mediamente, è sempre stato il meglio che l’Italia intellettuale sapesse esprimere. Sia a sinistra, sia nel centro cattolico, sia a destra. La borghesia e la classe operaia, cioè i due pilastri sui quali si è costruita la grandezza di questo Paese, non si facevano amministrare da personaggi di seconda fila, ma consegnavano la loro parte migliore alla politica. Scorrete un piccolo elenco di nomi, e concorderete.

De Gasperi, Sturzo, Dossetti erano personaggi di assoluto vertice del mondo cattolico. Non era facile trovarne di migliori, di più carismatici, neppure nelle altissime gerarchie ecclesiastiche, o tra i professori. E così Togliatti e Nenni e Lombardi e Di Vittorio. Quando eravamo ragazzi noi che ormai sfioriamo i settanta, la politica faceva una selezione durissima. Se volevi provare ad entrare in quella che adesso chiamano “casta”, dovevi sgobbare, studiare e avere ingegno. Se non ce la facevi, come succedeva ai più, ti accontentavi di fare l’ingegnere, o l’avvocato, o il giudice, o di prendere una cattedra all’Università. Non sto mica esagerando: era esattamente così. E i grandi professori facevano la fila dietro la porta dei politici, non per avere un posto o un premio, ma per avere idee.

Mi ricordo un sindaco di Roma di origini umilissime, che non credo avesse neppure il diploma di maturità, e che teneva in pugno – dico, intellettualmente in pugno – dei giganti dell’intellighenzia di sinistra come Argan, Lombardo Radice, Asor Rosa, Giovanni Berlinguer, Salinari, Giannantoni. E sto parlando di livello locale. E dell’opposizione. Nei partiti di governo, nella Dc, del Psi, anche tra i liberali, era la stessa cosa. Einaudi e anche Malagodi (parlo del minuscolo partito liberale) erano degli Dei.

E quando uno andava al governo, anche per fare magari il sottosegretario, aveva alle spalle una esperienza robustissima. Non facevi il ministro se non eri stato sperimentato per molti anni. Nelle sezioni di partito, nelle assemblee di fabbrica, nei consigli comunali di provincia. E se non c’era l’assoluta certezza della tua capacità di fare il ministro, non facevi il ministro. Non diventavi presidente del Consiglio se non eri unanimemente considerato tra le dieci persone più capaci di tutto il Paese.

Le poche volte che i partiti ricorrevano a figure di non primissima fila per fare il premier è quando volevano fare un governo passeggero, perché già pensavano a una formula nuova ma non era ancora matura, e avevano bisogno di qualche mese. Si chiamavano governi balneari. In genere li presiedeva Giovanni Leone. Anche Lui era un avvocato, come questo di adesso, Conte. Però era uno degli avvocati più famosi d’Italia e aveva fatto tanta gavetta politica, e aveva capacità politiche, cultura, lungimiranza, sapienza che oggi se metti insieme tutti i membri del governo, e chiami anche i loro parenti e amici, e magari i loro professori non ne fai neanche la metà. Magari avere un Leone, oggi.

Questo credo che sia uno dei principali problemi del Paese. La fine della classe politica. Molti hanno festeggiato: gli abbiamo tagliato gli stipendi, le pensioni, li abbiamo arrestati, impauriti, scacciati. Bel risultato. Ecco come ci troviamo adesso, con un premier che balbetta su facebook. La crisi della classe politica era già iniziata con la Seconda Repubblica, perché i leader della seconda politica, salvo una mezza dozzina, non erano all’altezza di quelli della prima. Però se scorrevi la lista di governo, conoscevi quasi tutti, conoscevi il passato dei ministri, i loro titoli, i loro meriti.

Un po’ ti fidavi. Oggi la fine della professione del politico è totale. Il premier è uno sconosciuto avvocato che per mettere insieme un curriculum ha dovuto inventarsi un insegnamento fantasma a New York. Nessuno sapeva chi era, quando è arrivato. Quale fosse il suo passato, cosa sapesse fare. Pare che fosse molto stimato da un avvocato importante come il professor Alpa, e questo è bastato per spedirlo a palazzo Chigi. E poi i Di Maio, i Bonafede, i Casalino e tutti gli altri. Mammamia. Anche il Pd e Italia Viva non hanno mandato al governo i loro esponenti più prestigiosi. Quasi a confermare l’idea che il governo è un posto che deve contare poco poco. Uno vale uno, nessuno vale due. Se vale due è meglio fargli un avviso di garanzia e mandarlo a casa.

È in queste condizioni che l’Italia sta vedendo in faccia il suo inevitabile declino. È inutile farsi illusioni. Un paese non cammina da solo. Se finisce in mano a Travaglio, a un gruppetto sgangherato di Pm, e a un pezzetto terrorizzato e imbelle di Pd (che sembra l’ombra all’ombra dell’Ulivo di Prodi), non si va lontano. In tutto il mondo esiste la crisi della politica. L’America non la governano più né Kennedy Eisenhower, c’è Trump. E Johnson sta lì al posto di Churchill. Macron fa le veci di De Gaulle. D’accordo. Però quei Paesi hanno sempre avuto borghesie fortissime, capaci di governare anche a prescindere dalle loro classi politiche. Da noi la politica è stata sempre il meglio. Per questo paghiamo la crisi più degli altri. Per questo se almeno ci decidessimo, forse, a trovare un altro lavoro a Conte e Bonafede, un lumicino di speranza si accenderebbe.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.